Recensione ultimatum alla terra
Recensione a cura di fabrizio dividi
"Ultimatum alla Terra", nella versione di Robert Wise del 1951, era stato uno dei primi casi in cui la fantascienza aveva dimostrato di poter far riflettere lo spettatore oltre che a stupirlo con gli effetti speciali.
Tra i migliori film fantastici del decennio (e tra i più significativi di quel mezzo secolo di cinema insieme a "Metropolis", "L'invasione degli ultracorpi", "Frankenstein" e a pochi altri), è il primo, vero film a tematica ufologica della storia, ma non basta. Il promettente regista, che non avrebbe abbandonato la SF negli anni successivi nonostante le sue importanti pellicole di successo (suoi l'imprescindibile "Andromeda" e "Star trek: the motion picture"), aveva dimostrato una notevole abilità affidando ad una storia apparentemente banale una inusuale profondità nei temi trattati: dall'ecologia al pacifismo, al confronto fede/scienza, passando dal potere mediatico a quello militare e politico.
Diventato negli anni oggetto di culto tra i cinefili che tuttora si pavoneggiano declamando la frase-slogan più famosa del film - ovviamente "Klaatu barada nikto", esempio ante litteram del feticismo linguistico che avrebbe ossessionato i seguaci della lingua Klingon e perfetto esercizio di snobismo intellettuale fra gli amanti del genere - aveva poi mantenuto la sua notorietà attraverso svariate citazioni letterarie e visive grazie anche alla stupefacente inquadratura di Klaatu con alle spalle un levigato e futuribile robot, e, ancora più indietro, uno splendido disco volante a dir poco perfetto, icona per eccellenza dell'UFO in una delle sue rappresentazioni più riuscite, essenziale nelle forme, e tendente al sublime nella sua satinata bellezza.
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