giovedì 10 marzo 2011

Recensione UN GELIDO INVERNO

Recensione un gelido inverno




Regia di Debra Granik con Jennifer Lawrence, John Hawkes, Kevin Breznahan, Dale Dickey, Garret Dillahunt, Shelley Waggener, Lauren Sweetser, Ashlee Thompson, William White, Casey MacLaren, Isaiah Stone, Valerie Richards, Beth Domann, Tate Taylor, Cody Brown, Ronnie Hall, Sheryl Le

Recensione a cura di Mimmot

Scordatevi l'America glamour della Fifth Avenue o quella esclusiva dei grattacieli di lusso dell'Upper East Side, scordatevi di Beverly Hills e di Santa Monica, di Hollywood e della sua elegante Sunset Boulevard, scordatevi l'America dell'agiatezza e dei paesaggi da cartoline, qui siamo tra le sperdute lande del Missouri, nel crudo, desolato, freddo paesaggio delle montagne Ozarks, un luogo tetro, arcigno e inospitale. Sono i luoghi dell’America rurale, cattiva, spietata.
Ozarks, appunto, quasi montagne anche se è solo un altipiano, tra gli Appalachi a destra e le Montagne Rocciose a sinistra.
E questi nel Missouri sono i luoghi più remoti della provincia americana, da affrontare  con coraggio e a muso duro, dove la vita e difficile e l'America edulcorata dei manifesti è solo un miraggio. Ed è qui, nel cuore di questo freddo altipiano, che è ambientato il film di Debra Granik, "Un gelido inverno", aderente trasposizione cinematografica del romanzo omonimo di Daniel Woodrell, autore che nutre le sue opere della stessa atmosfera che avvolge i luoghi che ama e che conosce molto bene.

In questa terra ai margini degli Stati Uniti, in una vecchia baracca di legno, vive Ree, una fanciulla diciassettenne oppressa dalla miseria e divenuta adulta troppo in fretta.
Ree culla un sogno di fuga, che non si realizzerà mai: arruolarsi nell'esercito degli Stati Uniti. Nel frattempo è costretta a prendersi cura dei suoi due fratellini, facendo le veci della madre, caduta in depressione per le malefatte del marito.
Ree ha passato la sua giovane esistenza dedicata alla sua famiglia, curando i fratellini più piccoli, procurando loro il cibo, preoccupandosi che vadano a scuola, facendo dal vero i lavori che le altre ragazzine della sua età riproducono, per gioco, con le bambole. La ragazza inoltre è in un mare di guai non per colpa sua: suo padre, infatti, piccolo produttore di anfetamine (come la maggioranza degli altri uomini della comunità) è finito in carcere per spaccio di droga. Ora è uscito di prigione e prima di sparire nel nulla, ha ipotecato la casa dove vive la sua famiglia e il bosco che la circonda, per pagarsi la cauzione e godersi una parentesi di libertà, prima della sicura condanna.
Non si dovesse presentare presto all'udienza, la baracca e il bosco verrebbero confiscati e Ree e la sua famiglia messi in mezzo alla strada.
Per scongiurare il pericolo Ree si mette in viaggio sulle tracce del padre, per costringerlo a presentarsi in tribunale. Viaggio, però, forse è una parola troppo grossa perché il viaggio è un'aspirazione, una necessità; è il luogo dell'anima dove nascono i grandi sogni e la mente corre veloce, dove il tempo è poesia e un passo non è mai uguale a quello che l'ha preceduto, né a quello che lo seguirà.
Qui non è così, perché il viaggio di Ree, nasce dal bisogno; bisogno di scoprire che fine ha fatto suo padre, per non perdere tutto ciò che le rimane e poter continuare a lottare per la sopravvivenza della sua famiglia.

[...]

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