Recensione il suo nome e' tsotsi
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Recensione a cura di Gabriela
Tsotsi è un giovane teppista e fa parte di una delle bande che controllano i ghetti di Johannesburg, accetta la violenza che lo circonda come qualcosa di naturale. Un giorno però incontrerà l'opportunità di salvarsi e redimersi nelle spoglie di un bambino che vede sul sedile posteriore dell'auto che ha rubato.
E' la storia della povertà, della disillusione e della sofferenza ma una storia in cui attraverso la speranza e la ricerca di un motivo per vivere è possibile avere un futuro migliore.
Possiamo paragonare questo film al "Cidade de Deus" di Meirelles per la sua tematica: difatti ci porta in una delle zone più povere e miserabili della città sudafricana, popolata da bande prive di coscienza e gremite di crudeltà.
Tsotsi (che significa gangster nello slang dei ghetti), interpretato da un bravissimo esordiente Presley Chweneyagae, è cresciuto da solo dopo essere scappato da casa lasciando una madre malata ed un padre crudele per entrare a far parte del gruppo di bambini senzatetto e senza regole che crescono nelle strade, bambini nascosti agli occhi del mondo, bambini senza legami con il passato o piani per il futuro.
Il protagonista diventa un leader marcato dall'istinto, non sente compassione per nessuno; è un giovane criminale simile ad una bomba pronta a scoppiare alla minima provocazione.
La sua vita cambierà completamente quando una notte, dopo aver rubato un'auto e sparato ad una donna, sequestra senza volere un bambino, abbandona l'auto e senza sapere cosa fare del neonato lo porta a casa sua e lo nasconde.
Confuso inizialmente e senza sapere cosa fare, Tsotsi inizia a sviluppare un affetto per il piccolo che lo fa sentire al tempo stesso felice e vulnerabile, cosa non ben vista nel suo ambiente delittuoso.
Cerca di prendersi cura, nel limite del possibile, del bimbo e obbliga una ragazza madre ad allattarlo, e sarà lei che gli insegnerà che essere padre è più complicato che rimanere semplicemente con un bambino.
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