martedì 27 giugno 2006

Recensione LA SOTTILE LINEA ROSSA

Recensione la sottile linea rossa




Regia di Terrence Malick con Sean Penn, Nick Nolte, James Caviezel, John Cusack, Ben Chaplin, Elias Koteas, Woody Harrelson, Adrien Brody, John Travolta, George Clooney, Mark Boone Junior, John C. Reilly, Jared Leto, John Savage, Miranda Otto, Nick Stahl, Thomas Jane

Recensione a cura di Giordano Biagio

Un film di guerra insolito in cui i combattimenti non sono quasi mai motivo di spettacolo ma spesso occasione per comunicare tra i soldati alcuni pensieri etici e filosofici. Protagonisti del film sono i pensieri indicibili dei componenti del reparto, riflessioni soffocate dallo stridore cupo della lunga battaglia. Pensieri udibili nella loro associazione con un visivo della natura disposto al dialogo proprio in occasione della morte: quando tutto sembra così inutile tra gli umani.
La maggior parte delle emozioni che il film suscita nascono dalla comunicativa magistrale del dialogo interiore dei combattenti con se stessi, la natura e la vita che sta per fuggire. Un'introspezione dal tono religioso. Solenne. In un contesto di combattimento colorato di orrori, percepito dai soldati sempre più come qualcosa di paradossale e straniante.

Il film evidenzia alcuni aspetti fondamentali della conquista nel 1942 dell'isola di Guadalcanal nel pacifico da parte degli americani, lungo una scacchiera di guerra mondiale che dopo il trionfo americano sui giapponesi nella battaglia di Midway vede gli Stati Uniti imporsi come protagonisti nella lotta per la liberazione dal nazismo e dai suoi alleati imperiali.
Nell'isola le motivazioni di guerra dei soldati americani appaiono psicologicamente un po' logore. Aleggia negli sguardi il terrore per un imminente scontro con i giapponesi. Si prevedono perdite ingenti di vite umane. In questa situazione la psicologia dei ruoli di alcuni ufficiali si incrina mentre in altri il desiderio omicida si esalta perché si coniuga con i privilegi che la vittoria dà.
Nascono da una parte riflessioni introspettive e critiche sempre più incontenibili e dall'altra, forti dell'alibi della discolpa che dà la guerra, si manifestano spinte all'annullamento di ogni pensiero umanista. In alcuni soldati morte e poesia si abbracciano in un ultimo e disperato dialogo etico con il mondo, in altri la paranoia dell'istinto di sopravvivenza denudato di ogni elemento di razionalità prende il sopravvento. La lentezza delle sequenze visive (70 minuti la scena di guerra) e l'irrompere visivo e significante di una natura viva ferita anch'essa dalla guerra consente una narrazione a tre istanze soggettive che dà, in modo particolare, efficacia e profondità al dialogo. Narrazione priva di quella forma comune di spettacolo verbale tendente all'insinuazione enigmatica del male o al dettaglio evocativo forzato che caratterizza il film classico di guerra. I dialoghi interiori sono ricchi di un vero indicibile che può essere solo pensato. Acquistano proprio per questo significazione poetica e psicologica mettendosi in contrasto con tutte le linee di condotta del film tipico di guerra. Lontano quindi da quelle sceneggiature fondate su intrecci di racconto sempre più prevedibili perché prelevati da una gamma di modelli precostituiti basati sul lieto fine.

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