giovedì 15 giugno 2006

Recensione PANE, AMORE E FANTASIA

Recensione pane, amore e fantasia




Regia di Luigi Comencini con Vittorio De Sica, Gina Lollobrigida, Marisa Merlini, Virgilio Riento, Tina Pica

Recensione a cura di peucezia

Il film, uscito nel 1953, segna la fortuna di molti dei protagonisti coinvolti a cominciare da Luigi Comencini, il suo regista, che gli deve il suo primo grande successo, per andare poi a Gina Lollobrigida consacrata diva grazie a questa pellicola e a Vittorio De Sica che dopo un periodo incolore come interprete seppe riciclarsi in grande stile come caratterista leggero.
I nomi destinati a rimanere nella memoria collettiva sono comunque diversi: come non ricordare la caratterista napoletana di razza Tina Pica, allora settantenne, la bella attrice romana Marisa Merlini e Gigi Reder (in seguito diventato l'indimenticabile Filini nel ciclo di film di Fantozzi)? Un film dalla trama esile, realizzato senza grossi spiegamenti di mezzi diventa così un vero e proprio cult nella storia del cinema italiano.

Per analizzare meglio la storia occorre dire che l'Italia dei primi anni Cinquanta usciva faticosamente dal dopoguerra (nel film ci sono ancora tracce dei recenti bombardamenti) mentre il grande schermo conosceva i trionfali successi del Neorealismo. Questa pellicola può essere considerata a metà strada tra il Neorealismo e la commedia all'italiana ancora "in nuce".
Neorealismo perché si privilegia l'uso della presa diretta, ci sono prevalentemente delle scene in esterni e l'ambientazione è misera: i protagonisti sono persone semplici, di bassa cultura e bassissimo censo, inoltre accanto agli attori professionisti figurano in piccoli ruoli degli attori presi dalla strada come era pratica comune per molte pellicole realizzate in quel periodo.
Un'altra caratteristica fondamentale di questa scuola di pensiero privilegia l'uso del dialetto o dell'italiano con forte cadenza dialettale, proprio a marcare fortemente il contrasto tra finzione (in questo caso rappresentata dalla dizione neutra tipica della cinematografia precedente con storie ambientate nell'alta borghesia, secondo i canoni dei "telefoni bianchi" anni Trenta) e lingua parlata dalla gente, in particolare dal popolino.

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