Recensione profondo rosso
Recensione a cura di Matteo Bordiga
Il trionfo dello stile, il dominio della forma. Il linguaggio della cinepresa, in questa pellicola, diviene esso stesso la cifra poetica del film, ancora prima della vicenda narrata. E molto prima dell'interpretazione degli attori.
"Profondo Rosso" ha il fascino dell'horror artigianale che si compiace di sé stesso e del proprio manierismo. Dario Argento punta soprattutto sulle sue trovate registiche, sul suo potere visionario per restituire all'immagine il primato assoluto.
La vicenda del musicista borghesotto che rimane coinvolto, suo malgrado, nell'assassinio di una parapsicologa e si trova trascinato in una serie di avventurose indagini per smascherare il killer, senza dubbio appassiona e tiene ben incollati allo schermo. Eppure, la magia di "Profondo Rosso", come in tutte le migliori opere d'arte, nasce dall'alchimia che l'artista riesce a generare sublimando i contenuti con la bellezza e l'estro della forma. L'horror viene elevato a poesia, la tensione e la suspense sono esasperate da lunghe soggettive, violente carrellate e contrappunti musicali che sembrano fondersi in un abbraccio con le immagini grondanti di sangue e di perversione.
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