Recensione gli equilibristi
Recensione a cura di kowalsky (voto: 6,5)
La crisi economica e la precarietà sociale che incide sulle famiglie italiane.
Il nuovo film di Ivano De Matteo si alimenta - pensate - nientemeno che dalla fonte del Neorealismo. E' probabile che lo stesso Zavattini non avesse immaginato un simile revival dello spirito di quest'Italia, catapultata improvvisamente in metropoli di sordide stanze in affitto gestite da altrettanto laide locatrici. Umberto D è ancora vivo, e ci appartiene.
Con una buona dose di faccia tosta, il regista tenta di appropriarsi di quel linguaggio post-boom adattando il lirismo poetico dei capolavori di De Sica al disagio impellente di questi ultimi anni, in modo che ogni amara realtà diventi strumentale ai fini di una parabola Nazionale che costringe in tutti i modi lo spettatore a guardarsi indietro. Ma oggi non esiste neanche il politico democristiano di turno che si possa indignare per il crudo affresco di una società incoraggiata al rito dell'incoscienza e del riso, vista la scarsa attendibilità della classe dirigente sopraffatta da un presidente del consiglio di un governo tecnico clamorosamente foriero di sventure tanto minuziosamente esternate.
Non c'è un obiettivo comune, ma quando sentiamo parlare il regista del suo film sembra di leggere un corsivo del Sole 24 ore. La realtà scomoda che tanto declama un cinema italiano così intransigente quanto superficiale è qualcosa di cui molti di noi conoscono già la risposta, con l'invadenza omertosa di questi lunghi mesi/anni dove la stampa nazionale si comporta con la stessa neutralità qualunquista dei politici. E quanto si pavoneggiano di avere espresso un'illuminante contesto del fattore umano, insomma di aver rivelato tanta tempistica ad assaggiare il frutto amaro gustato dalla massa popolare, loro che ne sono così laidamente distanti.
Il problema del cinema italiano è che denuncia ma anche difende, contesta ma in fondo ne è soggiogato. E in questo "sole dei morenti" della capitale - la Roma così diversa dagli attributi epici enfatizzati da troppe brutte canzoni di Antonello Venditti - è difficile credere fino in fondo quanto nell'abisso di Giulio (Valerio Mastrandrea) ci si possa riflettere, quanto si debba empatizzare con la sua condizione di miseria, o magari quanto sia vero il meccanismo della sovversione umana più autentica, la paura.
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