giovedì 25 ottobre 2012

Recensione PARADISO: FEDE

Recensione paradiso: fede




Regia di Ulrich Seidl con Maria Hofstätter, Nabil Saleh, Natalija Baranova, René Rupnik, Dieter Masur, Trude Masur

Recensione a cura di Fiaba (voto: 8,0)

Maria e (il figlio di) Dio. Una Maria che non è (più) moglie né madre, una Maria come potrebbe essere la nostra solitaria vicina della porta accanto. Maria che, tra una preghiera, un martirio, una seduta spiritual-spiritica, una nenia devota, si presenta (sponsor involontario e sgradito) a clienti putativi da arruolare e benedire con la sua (cosiddetta) Madonna pellegrina. Coppie, anziani, donne, uomini i cui corpi sfatti, martoriati, abbruttiti sono lo specchio di uno squallore sociale e ambientale che funge da cassa di risonanza su un popolo allo sbando che, per (illudersi di) salvarsi, riesce solo ad aggrapparsi a feticci, a riversargli contro le proprie mancanze e necessità, con spasmo finanche morboso e patologico. Maria (intensissima la Hofstätter) è invasata dalla rigidità della propria (?) veduta religiosa, imbrigliata in una mentalità che le si esprime (e tortura) addosso, prigione mentale dell'inferenza clericale nella sfera intima, privata e relazionale, che la rende inabile all'autodeterminazione e alla consapevolezza interiore. L'arrivo del marito, funestato da una malattia fisica e - agli occhi della donna - spirituale (è musulmano) scardinerà la calma apparente e piatta del suo equilibrio.

L'austriaco Ulrich Seidl, al massimo delle sue (sadiche, esangui, spietate) potenzialità, perlustra l'inferno di giorni di ordinaria follia illustrandoli con (am)mirabile asciuttezza stilistico-formale, rigorosa, scevra da compiacimenti e furbizie visive: non ammicca alla perversione, non liscia il voyeurismo suo e nostro. La mano ferma, l'oggettivismo limpido e feroce, Seidl allestisce una straordinariamente lucida visione d'insieme, un'analisi entomologica priva di sbavature, un teatro al contempo grottesco, tragico, comico (e scomodo).
In una realtà così corrosivamente delineata siamo schiavi della manipolazione dell'instrumentum regni, della nostra coscienza plasmata, del nostro appiattito senso critico; schiavi degli oggetti che ci trascinano lontano dall'essenza antropica: alla mercé della sedia a rotelle, della bottiglia di alcool, del cibo, della madonnina (che Maria porta qua e là come una coperta di Linus, come una catena inscindibile, come un prolungamento di sé).
L'approccio della donna verso gli altri è militare, integralista, sempre inflessibile, esso stesso segnato dalle caratteristiche imperialistiche e colonizzatrici della religio: la parola e la verità lei le ha già in tasca, e non le trova mai al di fuori dei sacramenti. Come qualsiasi vestale del fondamentalismo, come qualsiasi altro soldatino sull'attenti: con una pistola in mano e una puntata alla tempia.

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