Recensione travaux - lavori in casa
Recensione a cura di GiorgioVillosio
Fino dalle prime battute il film della Rouan denota l'intenzione sovrana di fare ridere con una "storia di ordinaria follia" domestico/costruttiva. La cosa ha illustri precedenti, nel cinema e nella letteratura francese e inglese, dove si contano molti esempi simili, imparentati da un fattore comune: il distacco piccolo borghese, presuntuosamente aristocratico, dal misero mondo degli operai, che, oltre che poveri e ignoranti, vi risultano incapaci e ridicoli.
Detta così fa un po' meno ridere, forse, ma è difficile da negare. Peraltro, sul piano politico e dell'equità sociale, è meno grave mettere alla berlina un ceto (o una classe?) che combatterlo o affamarlo, come succedeva in passato. E ridere dell'operaio grezzo e incapace succedeva già nell'epoca del latifondismo agrario nei confronti dei poveri contadini o dei servi, in tutte le letterature (dove al popolino dalle scarpe grosse si riconosceva al più un cervello fino, e una buona dose di furbizia e scaltrezza ).
Tale considerazione non va presa come un mio personale arzigogolo; e lo dimostra proprio l'atteggiamento dell'interprete principale del film, la meravigliosa Carol Bouquet. Avvocato di grido, nel film, schierata dalla parte degli immigrati e dei disadattati delle banlieu, vuole farseli piacere a tutti i costi per lavarsi la coscienza, con l'aplomb tipico del radical-chic; ma finisce poi per capitolare, ritornando stizzita all'insofferenza classista della sua cultura, col riaffermare apertamente che «in fondo sono sempre io la padrona!».
E del bisticcio interiore tra l'anima democratica e quella borghese-padronale che in lei convivono, risultano espressione simbolica i due figli, la ragazzina svaporata che istintivamente concede confidenze agli operai dell'impresa, e il fratello maggiore, finto fricchettone-alternativo, che per primo si indigna per l'attentato alla proprietà... della sua camera.
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