Recensione barton fink
Recensione a cura di Andre85 (voto: 9,5)
Perplessità... questo è quello che si prova appena finito il film, un senso di incompiutezza, di fatti il quarto film dei Coen - divisi uno alla regia e l'altro alla produzione, ma creatori pari merito dei loro film - ha da sempre diviso la critica: chi ne elogia la perfetta tecnica da una parte, chi ne denuncia la mancata riuscita dall'altra.
La prima parte del film è chiarissima e scorre via a meraviglia, Barton Fink giovane scrittore di teatro della NY anni '40, dopo un clamoroso successo a Brodway viene convinto ad andare a Hollywood per "fare quattrini", un passaggio molto comune per grandi artisti e intellettuali (forse anche per gli stessi Coen), vendendo il proprio talento.
Proprio il talento dei Coen fa si che una storia che in mano a qualsiasi altro regista sarebbe rimasta piatta e lineare si trasformi in un vortice sublime e grottesco.
Il punto X, quello della svolta è da inserire appena Barton si trasferisce e accetta il nuovo incarico, raffigurato con una potente onda che si frantuma su uno scoglio. Il protagonista viene catapultato in un hotel fatiscente in cui dovrà vivere e lavorare.
Immaginiamo che l'hotel Earle sia un limbo, o ancora peggio l'anticamera dell'inferno, in cui a Barton viene dato l'onore di vivere per un certo periodo, alla reception infatti Buscemi entra in scena da una botola... lo sguardo vispo e un po' matto dell'ottimo caratterista riflette l'atmosfera surreale della hall e ricorda uno spiritoso diavoletto, che chiede in maniera insistente a Barton se deve alloggiare per un breve o lungo periodo (limbo o morte), paragone che viene valorizzato anche quando viene inquadrato il blocnotes dell'hotel in cui c'è scritto a day or a lifetime, Barton, che è una persona colta ma sempre sulle nuvole, viene condotto nella sua stanza prendendo un ascensore guidato da un vecchio, più morto che vivo, una sorta di Caronte traghettatore.
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