martedì 11 settembre 2007

Recensione CAPTIVITY

Recensione captivity




Regia di Roland Joffé con Elisha Cuthbert, Daniel Gillies, Pruitt Taylor Vince, Laz Alonso, Michael Harney

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 3,5)

"Abduction, Confinement, Torture, Termination" (rapimento, segregazione, tortura, terminazione), con queste parole si conclude il trailer originale dell'ultimo film diretto da Roland Joffé. E con queste parole erano contraddistinti i quattro pannelli della campagna pubblicitaria della pellicola, che furono affissi a Los Angeles generando così tante polemiche da convincere sia il produttore Mark Damon (per la After Dark Films) sia la Lions Gate (in veste di distributore) a ritirarli.
Rivisitate per il lancio italiano, dopo il clamoroso insuccesso del film negli Stati Uniti, le parole della pubblicità nostrale sono: "Sesso, Omicidi, Tortura" nel trailer e "Prigionia, Tortura, Morte" in alcune locandine.

"Captivity" racconta la storia di Jennifer Tree (Elisha Cuthbert), modella e Cover Girl di successo, che viene rapita, rinchiusa in una prigione e sottoposta ad una serie di torture psicologiche e fisiche di crescente crudeltà e sadismo.
Una trama tutt'altro che originale e che si presenta come un incauto miscuglio di pellicole quali "Saw", "Hostel" e "Il Pasto Umano", senza scordarsi del più recente "Vacancy". E se i modelli di riferimento dovrebbero già essere definiti mediocri, essi almeno sono stati campioni d'incassi.
"Captivity", invece, si presenta anche come un clamoroso flop (costato 17 milioni di dollari, negli Stati Uniti ha incassato poco più di 4 milioni di dollari).
In tutto questo non ci sarebbe niente di particolarmente strano se ci trovassimo di fronte a un filmetto realizzato a costi bassissimi e diretto da un esordiente che ha ancora bisogno di farsi le ossa e che sfrutta un filone che sta riscotendo ampi consensi di pubblico. Tuttavia, questo non è il caso di "Captivity". Il film è diretto da un regista cosiddetto "impegnato": il britannico Roland Joffé, che in passato ha realizzato pellicole di buona qualità, come "Urla del Silenzio" ("The Killing Field" , 1984, il suo esordio cinematografico), "The Mission" (1986), "La Città della Gioia" ("City of Joy", 1992), "Vatel" (2000).
Inoltre, "Captivity" è stato scritto dal bravo Larry Cohen, di cui ricordiamo lavori quali "Io, La Giuria" ("I, the Giury", 1982), "Stuff, il Gelato che Uccide" ("The Stuff", 1985) di cui è anche regista, la serie di "Maniac Cop" (1988, 1990, 1993), "In Linea con l'Assassino" ("Phone Boot", 2002), "Cellular" (2004).
Queste credenziale potrebbero far sperare in un film di alta qualità che, pur inserendosi nel filone sopraccitato, sia capace di elevarsi per contenuti artistici, metaforici e sociali. Ad esempio il film "The Stuff" di Cohen era sì una pellicola horror, ma, oltre alla sua indubbia originalità ed ai toni ironici e farseschi, essa presentava molte peculiarità interessanti, fra cui l'accusa contro il sistema di alimentazione americano, contro la struttura familiare, contro il potere della pubblicità.
E in realtà delle pretese sociologiche "Captivity" le avrebbe, ma queste vanno a perdersi nei meandri di una storia pasticciata, banale e sconclusionata. Di questo parleremo più avanti.

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