venerdì 29 gennaio 2010

Recensione THE DREAMERS - I SOGNATORI

Recensione the dreamers - i sognatori




Regia di Bernardo Bertolucci con Michael Pitt, Louis Garrel, Eva Green, Robin Renucci, Anna Chancellor, Florian Cadiou

Recensione a cura di baloum

Con "The dreamers" Bernardo Bertolucci continua la riflessione, sottesa a gran parte del suo cinema, sulla ricerca dell'identità e sulla difficoltà di conciliarla con passione, desiderio e sogni.
Si può osservare come tale tema, già presente nella produzione poetica del regista parmigiano, si leghi indissolubilmente alla problematica della scoperta di un proprio stile cinematografico, e come questi due aspetti, l'identità e il cinema, pervadano la "materia onirica" di cui i suoi film si costituiscono.
In un'opera che fa proprio della citazione filmica la sua stessa struttura portante sono però i riferimenti alla storia dell'arte ad esplicitare la maniera i cui i dreamers confondono le identità, riplasmano lo spazio che ospita i loro desideri, riconfigurano i ruoli e modificano i corpi per dare forma al proprio sogno. I protagonisti, per vivere la loro "rivoluzione culturale privata" (come la definisce l'americano) si auto recludono nell'abitazione dei genitori di Theò e Isabelle e, all'interno di questa, in altri infiniti bozzoli e gusci (le stanze, la vasca, la tenda montata in salotto), lasciano fuori il mondo, ignorano la televisione che lo mostra e riplasmano gli spazi a misura dei loro desideri.

La forza dirompente, vitalistica, rivoluzionaria della passione è possibile solo in un territorio di sogno, in quella dimensione parallela dichiarata già in qualche modo nel titolo (l'ultimo tango si ballava ancora, comunque, a Parigi) che i ragazzi creano con la reclusione e con il cinema, unico ospite ammesso a varcare le soglie della loro claustrofilia e motore di giochi e di personali rivoluzioni. Il motivo iconografico delle sbarre rimbalza per tutto il film: dalla struttura metallica della Tour Eiffel nei titoli di testa che imbriglia il titolo "The dremers" (a prefigurare il destino dei sognatori), a quello dietro cui vediamo Theò prendere il vino del padre, fino a quella dell'ascensore in cui Matthew viene spinto dai gemelli (la cella dell'ascensore costituisce, peraltro, proprio il primo contatto dell'americano con la casa in cui vivrà recluso).
E, non a caso, il primo incontro dei tre ragazzi avviene davanti alle sbarre del cancello di un cinema, cui Isabelle sembra addirittura incatenata. Anche gli specchi onnipresenti all'interno dell'appartamento, il cui riflesso sostituisce il campo/controcampo, bloccano i personaggi in un perenne gioco di unioni di corpi ed esclusione del fuori: imprigionano, insieme ai sognatori, anche il loro sogno inconciliabile e non esportabile nel mondo. Durante la sua prima notte nell'appartamento dei gemelli, Matthew osserva la riproduzione de "La libertà che guida il popolo" di Delacroix ma, all'apice della piramide si trova, a nascondere il viso della Libertà, il volto di Marilyn Monroe. Una diva di Hollywood incollata sul corpo di una donna che incarna la Libertà: forse l'essenza del sogno di Matthew, Theò e Isabelle è tutta qui (e non solo perché, come si sottolineava, è proprio il cinema a rendere la loro rivoluzione privata tanto vitalistica ed eversiva).

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giovedì 28 gennaio 2010

Recensione IL MIRACOLO DELLE CAMPANE

Recensione il miracolo delle campane




Regia di Irving Pichel con Lee J. Cobb, Fred MacMurray, Frank Sinatra, Alida Valli

Recensione a cura di Giordano Biagio

"Il miracolo delle campane" è un film un po' particolare, di genere drammatico ma atipico nel suo sviluppo delle azioni e, pur essendo un prodotto propriamente hollywoodiano, ideato quindi sulla base di lunghe esperienze di mercato, non soddisfa del tutto le più comuni attese, mostrando sul piano della composizione narrativa una serie impressionante di lacune.
Il racconto è affastellato da effetti indesiderati, che fanno pensare ad una assenza di supervisione letteraria durante la fase del montaggio; manca infatti nella fase costruttiva della sintassi per immagini, la correzione delle spigolature più irritanti, quelle rilasciate dal primo accostamento tecnico delle singole scene.
Sembra quasi che il racconto a un certo punto sfugga di mano agli autori, finendo per assumere sembianze melodrammatiche non proprio volute, macchiate qua e là da una stridente pateticità.

Il film è stato valutato negativamente anche dalla grande critica cinematografica, che lo ha praticamente stroncato, con la motivazione che la narrazione non mantiene uno stile univoco, chiaro lungo tutto il suo cammino, ma sfocia a un certo punto e senza mezzi termini su un terreno dalle forme impervie, scoscese, impraticabili, che portano il racconto ad assumere toni un po' troppo severi, del tutto privi di ironia spezzettando lo stile in più parti e creando quindi intorno all'andamento drammatico principale una vera e propria commistione di sottogeneri.

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mercoledì 27 gennaio 2010

Recensione TRA LE NUVOLE

Recensione tra le nuvole




Regia di Jason Reitman con George Clooney, Jason Bateman, Anna Kendrick, Vera Farmiga, Melanie Lynskey, Danny McBride, Tamala Jones, Adam Rose, Steve Eastin

Recensione a cura di JackR

Mentre tutti parlano di Judd Apatow quale nuovo re della commedia americana, il figlio d'arte Jason Reitman piazza il terzo colpo in quattro anni (dopo "Thank You For Smoking" e "Juno") e fa centro di nuovo, riuscendo ancora una volta ad integrare un tema scomodo e un tono, almeno apparentemente, leggero.

Ryan Bingham (Gorge Clooney) lavora per una società che si occupa di gestire i tagli al personale delle aziende americane, per lavoro è sempre in viaggio, per viaggiare vola. Tutti i riti che accompagnano un viaggio di lavoro, dalla preparazione dei bagagli alla cena solitaria in albergo, compongono il guscio di sicurezza che Ryan ha costruito per la propria vita, basata sulla filosofia dello "zaino vuoto": se non hai legami, se non hai pesi, puoi viaggiare, puoi spostarti con leggerezza e senza problemi. Due donne intervengono a minare queste certezze: Natalie (Anna Kendrick), giovane collega di Ryan che riesce a far approvare un nuovo metodo di lavoro basato su video conferenza e che viene affidata ad un riluttante Ryan per un tirocinio itinerante, e Alex (Vera Farmiga), altra frequent flier, che lentamente fa breccia nel cuore di Ryan.

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Recensione VUOTI A RENDERE

Recensione vuoti a rendere




Regia di Jan Sverak con Zdenek Sverak, Tatiana Vilhelmová, Daniela Kolarova, Alena Vránová, Jirí Machacek, Miroslav Táborský, Martin Pechlát, Nella Boudová, Jan Budar, Pavel Landovský, Filip Renc, Jirí Schmitzer

Recensione a cura di peucezia

Film del 2007 distribuito in Italia solo nel gennaio 2009, "Vuoti a rendere", terza pellicola nata dalla collaborazione tra regista figlio (Jan Sverak) e padre sceneggiatore-attore (Zdenek Sverak) tratta con garbo e ironia una tematica cara ai tempi moderni: la vita dopo la pensione.
In Italia già dal lontano 1963 il nostro Totò si occupò di un tema simile interpretando il ruolo di un colonnello intristito e annoiato dal congedo alle prese con delle attività da intraprendere per passare il tempo in maniera attiva.
Il professor Joseph di Praga, analogamente, uomo alquanto originale, dopo la pensione si accorge di essere quello del "bentornato" e per tener fede a quest'idea inizia a cercare delle occupazioni. In un supermercato di quartiere finirà con l'occuparsi della resa dei vuoti ma non solo...

La storia ruota così non soltanto sullo stravagante protagonista ma sugli altri personaggi che Joseph cerca di aiutare a suo modo, quasi come un novello Amélie Poulain; dalla vecchietta sola al bisbetico "collega" di lavoro - che riesce con il suo intervento a impalmare una bella cliente - alla figlia in crisi matrimoniale e preda di un rigurgito mistico, aiutata indirettamente a conoscere e frequentare il giovane preside della scuola di Joseph.
Non altrettanto rosee sono le relazioni che Joseph intrattiene col gentil sesso e soprattutto con la consorte, insegnante in pensione saggia e incupita dallo scorrere degli anni.

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martedì 26 gennaio 2010

Recensione AVATAR

Recensione avatar




Regia di James Cameron con Sam Worthington, Sigourney Weaver, Giovanni Ribisi, Michelle Rodriguez, Zoe Saldana, Joel David Moore, Laz Alonzo, Wes Studi, Stephen Lang, Peter Mensah, CCH Pounder

Recensione a cura di Luke07 (voto: 7,5)

"Il sistema elettronico è molto stimolante. Lì per lì sembra un gioco. Si possono anche ottenere effetti proibiti al cinema normale. Insomma ti accorgi ben presto che non si tratta di un gioco, ma di un nuovo modo di fare cinema".
Michelangelo Antonioni

Avevamo lasciato il regista di Kapuskasing trionfante sul palco degli Academy Awards, con il mondo intero ai suoi piedi, quella lontana sera del 23 marzo del 1998. Era il trionfo di "Titanic", capace di portarsi a casa 11 premi Oscar su ben 14 nomination, un incasso mondiale di 1.835.300.000, con annesso record, e una certezza condivisa da molti, esperti e non del settore: l'impossibilità di ripetere un'impresa di tale portata, sotto tutti i punti di vista. Ebbene, undici anni dopo questo "poeta delle macchine" offre al "suo" mondo "Avatar" con il chiaro intento di offrire un'esperienza sensoriale ed emotiva senza precedenti.

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Recensione LUCI D'INVERNO

Recensione luci d'inverno




Regia di Ingmar Bergman con Gunnar Björnstrand, Ingrid Thulin, Max von Sydow, Gunnel Lindblom

Recensione a cura di Ciumi (voto: 9,0)

Si potrebbe affermare che "Luci d'inverno" cominci in una fase che già sembra avviarsi verso quella conclusiva. Ovvero che s'apra a discorso in corso, anzi in un punto nevralgico di esso, e che abbia, molto più che altrove, la sua vera introduzione in tutto il cinema antecedente di Bergman; cinema che abbiamo imparato col tempo a conoscere, e di cui abbiamo appreso, seppur non completamente svelato, alcuni simboli e certi dilemmi ricorrenti.
"Come in uno specchio" ci aveva lasciato bruscamente, anche intensamente, potremmo dire.
Le prime immagini di "Luci d'inverno" ci rendono invece una visione mesta, e la sensazione quindi di uno stacco profondo che va al di là dell'arco temporale che intercorre tra le due pellicole, portandoci sin da subito nel cuore di quella che dovrebbe essere la casa di Dio, ma che risulta invece esserne un organo gelido e malato.

Ci troviamo in Svezia, nel suo estremo nord, in un luogo della terra che poco concede al calore e alla luce del giorno. Le lapidarie immagini degli esterni ci mostrano un paesaggio spoglio, intorpidito, di rami invernali, ristretto e paralizzato dal gelo, ovattato nella quiete ma rigidamente, uno scorcio che sembra proiettare quella mancata espansione che prometteva la fede cristiana: non c'è passante o auto che transiti, s'ode lontano il suonare di campane.
Ecco dunque in breve presentata l'ambientazione di "Luci d'inverno" di Bergman: una chiesetta di provincia semideserta, misera e fredda come il paesaggio innevato. Ecco mostrati i suoi personaggi: un pastore protestante, Tomas, nel cui volto sono già segnati tutto lo sconforto e tutta la sfiducia d'una guida disorientata; e un gruppo esiguo di persone ad assistere alla funzione, alcuni dei quali saranno i protagonisti della vicenda.

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lunedì 25 gennaio 2010

Recensione MASH

Recensione mash




Regia di Robert Altman con Donald Sutherland, Elliott Gould, Tom Skerritt, Sally Kellerman, Robert Duvall, Roger Bowen, Jo Ann Pflug

Recensione a cura di A. Cavisi

Durante la guerra di Corea, in un ospedale da campo, tre chirurghi vivono anarchicamente infischiandosene delle regole e della disciplina, fino a quando rischiano di essere messi sotto inchiesta. Pericolo che riescono ad evitare vincendo una partita a rugby.

Straordinaria pellicola anti-militarista del geniale e indimenticabile Robert Altman, "M.A.S.H.", è uno dei capostipiti del cosiddetto filone comico-demenziale, uno di quei film apparentemente "stupidi", ma sostanzialmente intelligentissimi e graffianti nel prendere di mira una determinata realtà. In questo caso il regista e lo sceneggiatore Ring Lardner Jr., che vinse meritatamente l'Oscar, prendono di mira non solo il mondo militare e di rimando anche la guerra, ma anche una serie di aspetti che accompagnano solitamente queste realtà come l'estrema e a volte ingiustificata disciplina e il fervido senso religioso che accompagna molte figure che compongono il mosaico di questo ospedale militare.

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venerdì 22 gennaio 2010

Recensione IL QUARTO TIPO

Recensione il quarto tipo




Regia di Olatunde Osunsanmi con Milla Jovovich, Will Patton, Hakeem Kae-Kazim, Corey Johnson, Enzo Cilenti

Recensione a cura di Nicola Picchi (voto: 4,0)

Abigail Tyler, di professione psicoterapeuta nella desolata località di Nome, in Alaska, ha perso il marito in circostanze misteriose. La dottoressa Tyler appare già sull'orlo dell'esaurimento nervoso, figurarsi poi quando i pazienti si presentano nel suo studio lamentando disturbi del sonno, che attribuiscono alle ripetute visite notturne di un gufo: il pennuto voyeur, come il Corvo di Poe, li osserva fissamente dal davanzale, senz'altro più reperibile ed economico di un busto di Pallade Atena, anche di seconda mano. E non è che l'inizio, dato che seguiranno inquietanti fenomeni di levitazione e scene di possessione, con contorno di fonemi pseudoesorcistici articolati nientemeno che nell'antica lingua dei Sumeri. La Tyler insiste, assistita dal suo scettico collega Abel Campos (Elias Koteas), ma mal gliene incoglie, dato che il mistero è destinato a rimanere insoluto.

Sarebbe ora di dire basta a questa invasione, ben peggiore di quella aliena adombrata in questa deprecabile sciocchezzuola, di sottoprodotti architettati da registi senza talento. Dopo l'ignobile "Paranormal Activity", che ci ammorba col vetusto alibi del filmetto amatoriale (ma è troppo facile), arriva sui nostri schermi "Il Quarto Tipo", letargico "mockumentary" che farà felici tutti gli spettatori ansiosi di trascorrere un week-end nei pressi dell'Area 51. Ci sarebbe anche da riflettere sull'aberrante distorsione operata da Hollywood su un genere, quello del documentario simulato, nato con tutt'altri intenti, siano essi squisitamente politici (Il Peter Watkins di "The War Game" e "Punishment Park"), di riflessione sul mezzo cinematografico ("F for Fake" di Welles) o esclusivamente ludici ("Forgotten Silver" di Peter Jackson). Oggi il fine del mockumentary, con la lodevole eccezione del "District 9" di Neill Blomkamp, sembra sia esclusivamente quello di spaventare i tredicenni ammassati nei multiplex con squallide operazioni di marketing alla "Cloverfield". È diventato, insomma, una sorta di grimaldello universale per il genere horror-fantascientifico nonché una legittimazione per mascherare la vacuità e l'inettitudine di sceneggiatori e registi. Inoltre queste opere si basano su un grossolano equivoco, ovvero su quello che l'immagine video, specifica del mezzo televisivo, dia allo spettatore un'impressione di cosiddetta "realtà", quando al massimo può essere garanzia di "reality" e di finzione manipolatoria.

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Recensione IL QUARTO TIPO

Recensione il quarto tipo




Regia di Olatunde Osunsanmi con Milla Jovovich, Will Patton, Hakeem Kae-Kazim, Corey Johnson, Enzo Cilenti

Recensione a cura di Nicola Picchi

Abigail Tyler, di professione psicoterapeuta nella desolata località di Nome, in Alaska, ha perso il marito in circostanze misteriose. La dottoressa Tyler appare già sull'orlo dell'esaurimento nervoso, figurarsi poi quando i pazienti si presentano nel suo studio lamentando disturbi del sonno, che attribuiscono alle ripetute visite notturne di un gufo: il pennuto voyeur, come il Corvo di Poe, li osserva fissamente dal davanzale, senz'altro più reperibile ed economico di un busto di Pallade Atena, anche di seconda mano. E non è che l'inizio, dato che seguiranno inquietanti fenomeni di levitazione e scene di possessione, con contorno di fonemi pseudoesorcistici articolati nientemeno che nell'antica lingua dei Sumeri. La Tyler insiste, assistita dal suo scettico collega Abel Campos (Elias Koteas), ma mal gliene incoglie, dato che il mistero è destinato a rimanere insoluto.

Sarebbe ora di dire basta a questa invasione, ben peggiore di quella aliena adombrata in questa deprecabile sciocchezzuola, di sottoprodotti architettati da registi senza talento. Dopo l'ignobile "Paranormal Activity", che ci ammorba col vetusto alibi del filmetto amatoriale (ma è troppo facile), arriva sui nostri schermi "Il Quarto Tipo", letargico "mockumentary" che farà felici tutti gli spettatori ansiosi di trascorrere un week-end nei pressi dell'Area 51. Ci sarebbe anche da riflettere sull'aberrante distorsione operata da Hollywood su un genere, quello del documentario simulato, nato con tutt'altri intenti, siano essi squisitamente politici (Il Peter Watkins di "The War Game" e "Punishment Park"), di riflessione sul mezzo cinematografico ("F for Fake" di Welles) o esclusivamente ludici ("Forgotten Silver" di Peter Jackson). Oggi il fine del mockumentary, con la lodevole eccezione del "District 9" di Neill Blomkamp, sembra sia esclusivamente quello di spaventare i tredicenni ammassati nei multiplex con squallide operazioni di marketing alla "Cloverfield". È diventato, insomma, una sorta di grimaldello universale per il genere horror-fantascientifico nonché una legittimazione per mascherare la vacuità e l'inettitudine di sceneggiatori e registi. Inoltre queste opere si basano su un grossolano equivoco, ovvero su quello che l'immagine video, specifica del mezzo televisivo, dia allo spettatore un'impressione di cosiddetta "realtà", quando al massimo può essere garanzia di "reality" e di finzione manipolatoria.

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Recensione IL CORVO

Recensione il corvo




Regia di Alex Proyas con Brandon Lee, Michael Wincott, Ernie Hudson, Rochelle Davis

Recensione a cura di Zero00 (voto: 8,0)

Era il febbraio del 1989 quando la Caliber Press editrice1 pubblicò il primo numero di una nuova serie a fumetti americana dal titolo "The Crow" ("Il Corvo"), destinata fin da subito a scatenare l'interesse dei maggiori appassionati di fumetto alternativo e non della nazione.
L'autore dell'opera, James O'Barr, aveva disegnato le prime tavole del suo capolavoro nel 1981, durante uno stanziamento a Berlino con il corpo dei Marines, di cui faceva parte.
"The Crow" fu la risposta del fumettista alla difficile situazione personale che stava vivendo in quegli anni e che lo aveva proiettato in uno stato mentale fatto di depressione e frustrazioni.
Poco prima dell'uscita dell'ultimo capitolo, però, la Caliber fu costretta a sospendere la pubblicazione della miniserie per problemi finanziari.
Fu la casa editrice Tundra, di Kevin Eastman (l'autore di "Teenage Mutant Ninja Turtles"), a rieditare l'opera nel '91, questa volta completa di "Morte", l'ultimo tassello rimasto inedito2.
Negli anni seguenti "Il Corvo", fu rimaneggiato, rieditato e completato da nuove tavole a colori e in bianco e nero.

"Grigio e disperato, forte come l'acciaio ma fragile dentro, il corvo ride sotto un lampione, il sorriso spettrale di chi è vissuto e morto e vive ancora..."

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giovedì 21 gennaio 2010

Recensione SOUL KITCHEN

Recensione soul kitchen




Regia di Fatih Akin con Moritz Bleibtreu, Birol Ünel, Wotan Wilke Möhring, Jan Fedder

Recensione a cura di Mimmot

36 anni, già vincitore di un Orso d'oro a Berlino 2004 e di una Palma d'oro a Cannes 2007 per la migliore sceneggiatura con "La sposa turca", Fatih Akin è il nuovo enfant prodige del cinema tedesco e, in assoluto, uno dei migliori registi under 40 in circolazione.
Nato in Germania da genitori immigrati turchi, stabilitisi ad Amburgo negli anni '60, Akin ha mietuto allori festivalieri un po' ovunque con la sua splendida trilogia sull'amore, la morte e il diavolo, di cui fanno parte il cult "La sposa turca" ed il sottovalutato "Ai confini del paradiso"; entrambi notevoli per completezza formale e rigore stilistico.

Con "Soul Kitchen" il giovane turco-tedesco conferma le sue notevoli capacità registiche e si prende una pausa dal genere drammatico, con cui si è fatto apprezzare, non soltanto dalle giurie, e ci regala una divertente (ed intelligentissima) commedia; leggera e plurispeziata, multietnica e multiculturale, che alla Mostra di Venezia 2009 ha conquistato il prestigioso Leone d'oro - Gran Premio della giuria e che a noi spettatori offre 90' di "soul kitchen", di cucina dell'anima.

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Recensione MOUCHETTE

Recensione mouchette




Regia di Robert Bresson con Nadine Nortier, Jean-Claude Guilbert, Marie Cardinal

Recensione a cura di kowalsky (voto: 9,5)

A sedici anni di distanza dal "Diario di un curato di campagna" - adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo scritto nel 1936 da Georges Bernanos (1888-1948), Robert Bresson ritrova lo stesso autore riportando sullo schermo "La nuova storia di Mouchette", scritto nel 1937.
Si tratta di una vicenda ispirata da Bernanos da un personaggio di un altro romanzo francese, "Sotto il sole di Satana" (1926), fra l'altro tradotto al cinema da Maurice Pialat in un controverso film (1987) premiato a Cannes.

La storia di Mouchette è quella di una sfortunata quattordicenne che vive in un paese agricolo della Provenza, in compagnia di due genitori alcolizzati e due fratelli, di cui uno ancora in fasce. La ragazzina è costretta a occuparsi del fratellino e della madre malata, mentre il fratello maggiore vive in simbiosi col padre. Forse è destinato a prendere da lui le stesse cattive abitudini...

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mercoledì 20 gennaio 2010

Recensione IO, LORO E LARA

Recensione io, loro e lara




Regia di Carlo Verdone con Carlo Verdone, Laura Chiatti, Anna Bonaiuto, Marco Giallini, Sergio Fiorentini, Angela Finocchiaro, Olga Balan

Recensione a cura di ferro84 (voto: 7,0)

Dopo film decisamente poco riusciti come "Il mio miglior nemico" e "Grande grosso e Verdone", Carlo Verdone torna in sala con una commedia divertente, anche se ancora ben lontana dagli standard del passato. La fine del sodalizio con la Filmauro sembra, comunque, aver ridato nuova linfa creativa al regista romano e confermato De Laurentiis come un imprenditore incapace di valorizzare artisticamente la sua pur talentuosa scuderia. De Laurentis non regge il paragone con i suoi illustri predecessori, Luigi e Dino, dimostrando che per essere dei grandi produttori di cinema non basta solo saper far quadrare i conti.
Sarebbe scorretto però ignorare che Carlo Verdone attraversi una crisi di idee oramai permanente, ma che questo debba essere un alibi per immolarsi all'altare della banalità e becera volgarità non è sicuramente accettabile. La stagione di film come "Compagni di scuola", "Maledetto il giorno che ti ho incontrato" o "Al lupo al lupo" è definitivamente conclusa; nonostante ciò si può constatare con piacere che "Io, loro e Lara" è un lavoro dignitoso, divertente e di buon gusto di un Verdone finalmente capace di esprimersi con libertà.

Il film prende spunto dalle vicende di Padre Carlo, un prete missionario di ritorno in Italia per ridare vigore alla propria fede. Purtroppo il ritorno in famiglia si rivela essere più complicato del previsto, con un padre alla prese con una nuova moglie, un fratello cocainomane e una sorella esaurita con una figlia difficile.
In questa situazione compare Lara, una ragazza sbandata e sola, la cui irruzione destabilizzerà il già fragile equilibrio di padre Carlo.

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