venerdì 22 gennaio 2010

Recensione IL QUARTO TIPO

Recensione il quarto tipo




Regia di Olatunde Osunsanmi con Milla Jovovich, Will Patton, Hakeem Kae-Kazim, Corey Johnson, Enzo Cilenti

Recensione a cura di Nicola Picchi (voto: 4,0)

Abigail Tyler, di professione psicoterapeuta nella desolata località di Nome, in Alaska, ha perso il marito in circostanze misteriose. La dottoressa Tyler appare già sull'orlo dell'esaurimento nervoso, figurarsi poi quando i pazienti si presentano nel suo studio lamentando disturbi del sonno, che attribuiscono alle ripetute visite notturne di un gufo: il pennuto voyeur, come il Corvo di Poe, li osserva fissamente dal davanzale, senz'altro più reperibile ed economico di un busto di Pallade Atena, anche di seconda mano. E non è che l'inizio, dato che seguiranno inquietanti fenomeni di levitazione e scene di possessione, con contorno di fonemi pseudoesorcistici articolati nientemeno che nell'antica lingua dei Sumeri. La Tyler insiste, assistita dal suo scettico collega Abel Campos (Elias Koteas), ma mal gliene incoglie, dato che il mistero è destinato a rimanere insoluto.

Sarebbe ora di dire basta a questa invasione, ben peggiore di quella aliena adombrata in questa deprecabile sciocchezzuola, di sottoprodotti architettati da registi senza talento. Dopo l'ignobile "Paranormal Activity", che ci ammorba col vetusto alibi del filmetto amatoriale (ma è troppo facile), arriva sui nostri schermi "Il Quarto Tipo", letargico "mockumentary" che farà felici tutti gli spettatori ansiosi di trascorrere un week-end nei pressi dell'Area 51. Ci sarebbe anche da riflettere sull'aberrante distorsione operata da Hollywood su un genere, quello del documentario simulato, nato con tutt'altri intenti, siano essi squisitamente politici (Il Peter Watkins di "The War Game" e "Punishment Park"), di riflessione sul mezzo cinematografico ("F for Fake" di Welles) o esclusivamente ludici ("Forgotten Silver" di Peter Jackson). Oggi il fine del mockumentary, con la lodevole eccezione del "District 9" di Neill Blomkamp, sembra sia esclusivamente quello di spaventare i tredicenni ammassati nei multiplex con squallide operazioni di marketing alla "Cloverfield". È diventato, insomma, una sorta di grimaldello universale per il genere horror-fantascientifico nonché una legittimazione per mascherare la vacuità e l'inettitudine di sceneggiatori e registi. Inoltre queste opere si basano su un grossolano equivoco, ovvero su quello che l'immagine video, specifica del mezzo televisivo, dia allo spettatore un'impressione di cosiddetta "realtà", quando al massimo può essere garanzia di "reality" e di finzione manipolatoria.

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