Recensione il riccio
Recensione a cura di A. Cavisi
L'undicenne Paloma, insofferente alla sua famiglia e a quasi tutto il genere umano in generale, sta ponderando il suicidio. Renée, la portiera del lussuosissimo palazzo nel quale abita la ragazzina, vive segretamente la sua grande cultura e la sua passione per i classici letterari e cinematografici. L'arrivo di un nuovo inquilino giapponese, Kakuro, riuscirà a smuovere gli animi di entrambe.
"L'eleganza del riccio", romanzo francese di Mauriel Barbery, è stato un vero e proprio caso letterario in Francia e poi si è diffuso anche negli altri Paesi grazie ad un grandioso passaparola che ne ha decretato il successo di pubblico, ma anche di critica, visto che ha vinto alcuni prestigiosi premi letterari. Quando ci si trova di fronte a successi di tal genere, decidere di crearne una pellicola può risultare un arma a doppio taglio, proprio perché si può sperare in un elevato numero di spettatori spinti dalla curiosità di vedere come le loro amate pagine hanno preso vita sullo schermo, ma al tempo stesso si può incorrere, come del resto è successo in questo caso, nelle "ire" dell'autore stesso che disconosce l'opera ispirata al suo romanzo e degli spettatori che potrebbero rimanere delusi dalle differenze più o meno rilevanti rispetto al libro. Bisognerebbe comprendere però che la letteratura e il cinema, pur essendo a volte compenetrabili, sono due arti completamente diverse, ed è naturale che il passaggio da una all'altra comporti non pochi cambiamenti di stile, di narrazione, di forma e via dicendo. Una volta fatto pace con questa immodificabile realtà, l'autrice del romanzo e gli spettatori esigenti di una fedeltà impossibile da realizzare, potranno fare pace anche col film stesso.
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