Recensione luci d'inverno
Recensione a cura di Ciumi (voto: 9,0)
Si potrebbe affermare che "Luci d'inverno" cominci in una fase che già sembra avviarsi verso quella conclusiva. Ovvero che s'apra a discorso in corso, anzi in un punto nevralgico di esso, e che abbia, molto più che altrove, la sua vera introduzione in tutto il cinema antecedente di Bergman; cinema che abbiamo imparato col tempo a conoscere, e di cui abbiamo appreso, seppur non completamente svelato, alcuni simboli e certi dilemmi ricorrenti.
"Come in uno specchio" ci aveva lasciato bruscamente, anche intensamente, potremmo dire.
Le prime immagini di "Luci d'inverno" ci rendono invece una visione mesta, e la sensazione quindi di uno stacco profondo che va al di là dell'arco temporale che intercorre tra le due pellicole, portandoci sin da subito nel cuore di quella che dovrebbe essere la casa di Dio, ma che risulta invece esserne un organo gelido e malato.
Ci troviamo in Svezia, nel suo estremo nord, in un luogo della terra che poco concede al calore e alla luce del giorno. Le lapidarie immagini degli esterni ci mostrano un paesaggio spoglio, intorpidito, di rami invernali, ristretto e paralizzato dal gelo, ovattato nella quiete ma rigidamente, uno scorcio che sembra proiettare quella mancata espansione che prometteva la fede cristiana: non c'è passante o auto che transiti, s'ode lontano il suonare di campane.
Ecco dunque in breve presentata l'ambientazione di "Luci d'inverno" di Bergman: una chiesetta di provincia semideserta, misera e fredda come il paesaggio innevato. Ecco mostrati i suoi personaggi: un pastore protestante, Tomas, nel cui volto sono già segnati tutto lo sconforto e tutta la sfiducia d'una guida disorientata; e un gruppo esiguo di persone ad assistere alla funzione, alcuni dei quali saranno i protagonisti della vicenda.
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