Recensione l'inquilino del terzo piano
Recensione a cura di Giordano Biagio
Questo film di Polanski del 1976 è un thriller un po' insolito. Originale per tecniche narrative e psicologia dei personaggi, il racconto suscita però, per tutta la durata della pellicola, un interesse troppo intessuto di ansie metafisiche.
Le scene si snodano lungo un credibile e avvolgente mistero noir ma lasciano un po' inappagati dopo l'enigmatico finale, anche se la conclusione non criptica consente di rimanere piacevolmente pensosi.
Il film si avvale di un impianto linguistico molto curato e riuscito nei suoi aspetti temporali e spaziali. Un impianto fertile di sviluppi di espressioni visive: quelle più idonee a dare spessore al genere thriller.
Il dispositivo messo in moto da Polanski è mirabile per la scioltezza semantica che consente all'andamento e per l'eccezionale capacità di produzione di sentimenti di paura. Una paura che, grazie al contenimento non dispersivo dei significanti visivi, si esalta da sé divenendo terrore, inquietudine incommensurabile, incubo; sfuggendo forse in alcune caratteristiche al controllo delle reali intenzioni di Polanski.
La sceneggiatura è molto curata e puntuale nelle scelta di quelle parole chiave che sciolgono i nodi del racconto. Riesce a dare un ritmo in cui predomina, in una crescente stranianza di immagini, un senso di alienazione. Le scene si strutturano in una linearità discorsiva semplice ed efficace che non fa mai perdere l'effetto thriller del racconto neanche nei momenti dove l'immagine è più convulsa e caotica.
L'opera, avvalendosi di una buona credibilità scenica, trasporta lo spettatore da un inizio del racconto vissuto in un rassicurante quotidiano condominiale, in cui riconosce aspetti della propria vita abitudinaria, a un finale di assoluto altrove immaginifico: tragico e inaspettato.
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