mercoledì 28 gennaio 2009

Recensione I FIGLI DELLA VIOLENZA

Recensione i figli della violenza




Regia di Luis Buñuel con Alfonso Mejia, Roberto Cobo

Recensione a cura di amterme63 (voto: 10,0)

Oltre al rimosso psicologico esiste anche un rimosso sociale. Il primo regista che ebbe il coraggio di rappresentare in un film il mondo volutamente dimenticato ma diffuso e reale della povertà estrema e della violenza, per di più senza veli sentimentali e con il massimo del realismo, fu nel 1950 Luis Buñuel con "Los Olvidados" (letteralmente "I dimenticati", tradotto in italiano con "I figli della violenza").
Per lui la militanza surrealista era stata una scelta etica di vita.

Il suo fine era mostrare a tutti cosa c'è dietro il velo di ipocrisia e falsi sentimenti che copre quello che noi chiamiamo amore, patria, famiglia o religione, quelle verità scomode che fa male vedere ma che è dovere sapere. Il regista di "Un chien andalou" e "L'age d'or" dovette però pagare cara questa scelta. Persino nei "liberali" Stati Uniti trovò tutte le porte chiuse e fu costretto a emigrare a Città del Messico, dove sopravvisse divertendo la gente semplice con film tutto sommato dignitosi. Tutto questo fino a che non arrivò a Città del Messico il film "Sciuscià" di Vittorio De Sica. Era il segnale che aspettava: per la prima volta lo sguardo della macchina da presa penetrava nelle periferie e nei bassifondi, l'equivalente sociale che ha il ruolo dell'inconscio nella psiche umana. Adesso toccava a lui dire la sua, andando ancora più a fondo di quello che aveva fatto De Sica.

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