lunedì 1 settembre 2008

Recensione L'ANGELO DELLA SPALLA DESTRA

Recensione l'angelo della spalla destra




Regia di Jamshed Usmonov con Uktamoi Miyasarova, Maruf Pulodzoda, Kova Tilavpur, Mardonkul Kulbobo, Malohat Maqsumova

Recensione a cura di Severino Faccin (voto: 9,0)

"L'angelo della spalla destra" è un esempio di come, nonostante la riconquistata sovranità, il Tajikistan ancora subisca l'influenza e molto dipenda economicamente dall'ex Unione Sovietica, oggi Russia. A iniziare dalla vita stessa del protagonista, Hamro, che a Mosca ha trascorso dieci anni tra alti e bassi, tra carcere e loschi affari che hanno avuto come risultato di caricarlo di debiti, tanto da condizionare oltre alla sua, l'esistenza della madre Halima che vive nel villaggio di Asht.
È qui che Hamro fa ritorno dopo i dieci anni in Russia, per scoprire che Halima è in fin di vita: si tratta però solo di una manovra ordita dalla scaltra signora per ottenere l'ampliamento dell'ingresso al cortile della sua casa quel tanto da consentire (è la scusa ufficiale) il passaggio della bara in cui dovranno riposare i suoi resti. Hamro, convinto della prossima dipartita, intravedendo la possibilità di risollevare le sue sorti rivendendo l'abitazione alla morte della madre, ne avvia la ristrutturazione.
E a questo punto iniziano le sue peripezie: più che mai indebitato, egli si sente costretto dentro un ambiente, quello del villaggio, apparentemente ordinario, fatto di cose comuni come il lavoro quotidiano della gente, i piccoli sotterfugi di un sindaco che fa dell'inganno la propria parola d'ordine, o il figlio piovutogli tra capo e collo quale eredità delle sue avventure galanti del passato. Un ambiente talmente ordinario da far sembrare anche il colloquio telefonico del primo cittadino con il soprannaturale (con «sua eccellenza») un avvenimento di assoluta normalità; dove eventi importanti come la morte (così fa Halima pensando alla sua) sono preparati con molta cura, prima ancora che accadano, e il culto degli antenati viene coltivato per garantirsi la salvezza dell'anima dopo il trapasso, sebbene la laicità del modello religioso islamico praticato dalla società tajika, uscita da settant'anni di comunismo sovietico, consenta di fare uso liberamente di bevande alcoliche e di praticare il sesso, ove se ne presenti l'occasione, anche in un luogo pubblico (per esempio nella stanza per le medicazioni di un ospedale, come fa Hamro con Savri) a cui chiunque può accedere.

Fedele all'usanza ottomana del serraglio (leggi gineceo), la proprietà privata rimane invece nascosta al riparo di alte mura che non consentono di vedere all'interno; l'harem infatti è il regno della donna e va protetto da sguardi indiscreti. Questo spiega perché in pubblico le anziane del villaggio nascondano la testa sotto una giacchetta per non far vedere il volto.

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