mercoledì 10 settembre 2008

Recensione UN'ANIMA DIVISA IN DUE

Recensione un'anima divisa in due



Regia di Silvio Soldini con Fabrizio Bentivoglio, Mària Bàkó, Philippine Leroy-Beaulieu

Recensione a cura di Hal Dullea

Pietro Di Leo ha 37 anni, è milanese, separato, padre d'un bambino che vede solo nei fine settimana. Lavora in un grande magazzino della città come addetto alla sicurezza interna. Sopravvive: va avanti per inerzia, in solitudine, apparentemente apatico. Un giorno s'imbatte in Pabe, una giovane zingara che disturba le clienti nel reparto cosmetici; pochi giorni dopo la ritrova in flagranza di reato, ma invece di portarla al commissariato la lascia scappare. La diffidenza iniziale si trasforma pian piano nel tentativo di conoscere una realtà diversa dalla sua. I due universi sembrano inconciliabili, però alla fine d'un goffo pedinamento è Pabe che sale sull'auto di Pietro; i due fuggono insieme. Viaggiano verso sud, a zig-zag lungo l'Italia.
Finiscono per fermarsi ad Ancona, e lì cercano d'inventarsi una nuova vita. Pietro e Pabe provano a insegnarsi reciprocamente l'integrazione, tentano d'assimilarsi vicendevolmente adattandosi l'uno all'altra. Entrambi vengono aiutati da Savino, l'ex-suocero di Pietro. Tra molte difficoltà, il loro esperimento prosegue fino a quando, dopo la morte di Savino e l'ennesima umiliazione ricevuta sul luogo di lavoro, Pabe non ce la fa più e fugge per tornare a Milano.
Pietro resta ancora solo. Pabe, raggiunta la città, scopre che al posto del campo nomadi in cui prima abitava c'è ora lo scavo d'un enorme cantiere.

L'opera seconda del milanese Silvio Soldini è un film diviso in due. Come gli animi che racconta, come le soggettività che mette in scena. Scisso, lacerato, franto. Una prima parte nevrotica e sofferta, una seconda parte più distesa e pacata. Poi, bruscamente, un finale non riconciliante e non riconciliato. In sintonia col Pozzessere di "Verso Sud", anche Soldini cerca nella forma del "road movie", la struttura che, come metafora narrativa, sia capace d'indagare il disorientamento esistenziale e affettivo. Più che una love story fra un impiegato milanese e una zingara rom, "Un'anima divisa in due" è a tutti gli effetti un "mélo": la trama d'un amore impossibile, il racconto d'un'infruttuosa fatica di comprendersi, la storia d'una mancata unificazione, e non tanto fra due culture ed etnie, quanto fra un uomo d'ordine e una donna del disordine, in un rapporto contrastato dove ciascuno dei protagonisti perde il proprio mondo senza trovarne uno alternativo. Nello sforzo di conoscersi e amarsi, entrambi mollano gli ormeggi e scelgono di vivere una fuga da sé verso l'altro e l'alterità, alla ricerca d'una condivisione sentimentale di coppia, una fuga che si materializza anche nel percorso a tappe d'un viaggio della speranza. Ma l'estraneità e la diversità sono anzitutto interiori, intrinseci alla propria disgregazione psichica. Prigionieri del mondo ma ancor prima di sé stessi, con un desiderio inappagato che s'avventura nei meandri delle personali fratture e conflittualità, vengono sedotti dal miraggio d'una pacificazione mentale e possono pure temporaneamente quietarsi, per poi però reimpattare contro il crudo realismo.
Soldini racconta insomma la favola di Pigmalione, ma a più livelli: domare il selvaggio femminile, essere attratti dalla sistematicità maschile, e ciò sia fuori che dentro di noi. E la racconta con uno stile asciutto, ellittico, raffinato, che comunica con i fatti e le immagini più che con i dialoghi e le parole.

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