Recensione la dolce vita
Recensione a cura di Giordano Biagio
"La dolce vita", uscito in bianco e nero nel 1960, è forse il miglior film di Federico Fellini; indubbiamente è il più discusso e provocante, quello che in maggior misura è riuscito a coinvolgere la critica ed il mondo della cultura, portandoli ad esprimersi su diversi e importanti piani artistici e letterari, con dibattiti televisivi, iniziative editoriali, scritti, conferenze culturali animate da un fervore polemico straordinario, indimenticabile, forse unico.
"La dolce vita", pur pubblicizzata con grandi mezzi mediatici ancor prima dell'uscita nelle sale, è stato per molti spettatori una vera e propria sorpresa cinematografica, piacevole e stimolante, lontano dalle banali suggestioni dello spettacolo da botteghino e dalle convenzioni narrative più fatiscenti finalizzate a ingrandire a dismisura i disagi o i godimenti della vita quotidiana.
Per altri il film ha rappresentato un disordinato, confuso, disparato movimento di idee e concetti visivi, finalizzati in qualche modo a demolire senza alcuna distinzione, da una prospettiva ribellistica tipicamente felliniana, i più noti valori del cattolicesimo, compresi quelli rimossi appartenenti dallo stesso regista riminese.
"La dolce vita" è in realtà un'opera epocale, di buon livello analitico e rilievo artistico, intrisa di quel potente pensiero critico e laico capace da sempre di svestire i falsi valori che si annidano nei modi di vita del cosiddetto cattolicesimo soft.
Nel film sono prese di mira le certezze più ipocrite del cattolicesimo aristocratico del tempo: quello più subdolo e formale.
Fellini si interessa ai rappresentanti più in vista di quel mondo, che costituivano un circolo esistenziale chiuso, indifferente al sociale; persone dedite a una vita mondana prevedibile, ripetitiva, animati da una inesauribile pulsione trasgressiva, mascherata a stento da una colta raffinatezza.
"La dolce vita" rappresenta dal punto di vista di Fellini una sferzata critica alla borghesia mondana, alla sua pesante egemonia culturale, al suo mito del successo, al cinismo competitivo che provoca nel sociale, e a quel suo ideale di vita che sembrava voler sancirne anche la superiorità etica sul resto del paese. Un successo secondo lui tanto invidiato quanto paradossale, confuso nella sua trasposizione simbolica, impossibile da realizzare pienamente perché preso nella spirale senza fine di una pulsione oscura, dove il peccato e la sua assoluzione diventavano parte di una struttura ossessiva inguaribile, ancorata alle radici storiche più remote, e legata misteriosamente ad un senso di colpa atavico di cui non si conoscono le cause.
[...]
Leggi la recensione completa del film LA DOLCE VITA su filmscoop.it
Nessun commento:
Posta un commento