mercoledì 31 maggio 2006

Recensione TANGUY

Recensione tanguy




Regia di Etienne Chatiliez con André Dussolier, Sabine Azema, Eric Berger

Recensione a cura di peucezia

I francesi amano rappresentare il sociale nei loro film e quindi qualsiasi "caso" può essere un valido spunto per la realizzazione di una storia cinematografica.
Per questa pellicola a fornire la stura per l'intreccio un capovolgimento di abitudini, un nuovo modo di vivere e di pensare dei giovani francesi; da sempre abituati ad uscire di casa con la maggiore età (e desiderosi di lasciare il nido quanto prima) i giovani (per la maggior parte quelli di sesso maschile) da alcuni anni a questa parte trovano più comodo e rassicurante restare tra le quattro mura familiari vezzeggiati e curati a vita senza alcuna responsabilità.
Questo è il ritratto del giovane Tanguy (Eric Berger), "tombeur de femmes" e dall'altro lato spocchioso "sotuttoio", rappresentante della nuova generazione che non se ne vuole andare e anche unico pargolo della sua famiglia, di qui quindi il maggiore attaccamento alle gonne materne e le sue perplessità a lasciare la famiglia.

Nella sua caustica ironia il film dibatte tematiche tremendamente attuali: i genitori di Tanguy (André Dussolier e Sabine Azema in splendida forma), i veri protagonisti della storia, sono ex sessantottini, ma si ritrovano sulle spalle i problemi di tutti i comuni borghesi, stretti tra un figlio ormai adulto ancora in casa e una madre arzilla ma anziana che reclama il proprio diritto all'assistenza citando la legge. E' in particolare il padre di Tanguy la maggiore vittima: un uomo vigoroso, che vorrebbe godersi la vita ed è invece costretto a barcamenarsi tra due situazioni di famiglia spinose, triste destino di molti uomini di mezz'età.

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martedì 30 maggio 2006

Recensione I SETTE SAMURAI

Recensione i sette samurai




Regia di Akira Kurosawa con Takashi Shimura, Toshirô Mifune, Yoshio Inaba, Seiji Miyaguchi, Minoru Chiaki

Recensione a cura di Giordano Biagio

"I sette samurai" è uno dei più celebri film di Akira Kurosawa. Girato nel 1954, con attori di pregio come Toshiro Mifune e Takashi Shimura, il film è considerato da autorevoli critici cinematografici un prototipo del film d'azione a tutto campo: un fluire in un unico filone narrativo delle numerose istanze spettacolari e culturali che lo costituiscono. Un'opera che dà spettacolo riuscendo a trasmettere nello stesso tempo contenuti di rilievo.

Con quest'opera si affermano definitivamente quei noti codici visivi orientali, già apprezzati in altri ambiti, che tanta parte avranno nel successo dei film da intrattenimento a tinte forti.
Un linguaggio cinematografico sopra le righe, ne sono un esempio i personaggi che si muovono con toni recitativi ieratici, sguardi drammatici con espressioni essenziali, penetranti; i movimenti pulsionali legati alla vita e alla morte sembrano sempre in bilico e in buona evidenza dialettica: lungo una sfida tra il bene e il male che chiama in causa di volta in volta la fatica e l'incertezza del lavoro, il conflitto di classe, le inquietudini legate al sesso e all'amore.
Sesso e amore sono espressi spesso in una contrapposizione dinamica, come due soggetti impazziti combattuti tra la necessità di mantenere un decoro rispettoso della morale dei tempi e l'esigenza di una istintività misteriosa, meno controllabile, che non può imporsi del tutto perché il suo scopo è fortemente creativo e violento nel mentre è frenata e avvolta dalle sublimazioni sociali più nobili.

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lunedì 29 maggio 2006

Recensione BRAZIL

Recensione brazil




Regia di Terry Gilliam con Jonathan Pryce, Robert De Niro, Katherine Helmond, Ian Holm, Bob Hoskins, Michael Palin, Jim Broadbent, Kim Greist, Ian Richardson, Peter Vaughan

Recensione a cura di Laura Ciranna

"Braaaasil papparapperoparapaaaaaa papparapperoparapaaaaaa braseo brasiiiil" avete presente la musichetta carnascialesca che (specialmente nella versione medley con Bri-jit de Bardò Bardò) ha allietato tanti dei vostri gaudenti trenini?
Si? Bene, allora canticchiatela spensieratamente per l'ultima volta, perché dopo la visione di questo film l'aria di Barroso (nelle sue infinite variazioni e interpretazioni che vanno da quella di Kate Bush a Michael Kamer) assumerà un gusto un po' amaro e si velerà della lieve malinconia che talora avvolge il ridestarsi dei sognatori.

Iniziata la visione del film di Terry Gilliam vi troverete in tempo imprecisato in un mondo governato dalla più incredibile e sgangherata tecnologia retrò che sia dato immaginare, un cupo universo futuribile ingessato in un sistema di regole inappellabile che domina le più semplici attività ancorandole a timbri, autorizzazioni e certificati, che ha come scheletro un onnipresente reticolo di tubature di ogni dimensione e colore.
Il governo assicura stabilità e certezze alla società con una astrusa irregimentazione: i criteri di organizzazione sulla base di razionalità, imparzialità, impersonalità danno vita ad una burocrazia inetta e farraginosa che crea il caos ovunque.
In questo mondo il singolo individuo partecipa con pedissequa laboriosità, si fa massa asservita all'ordine e alla regolarità: uomini formica, piccoli e innocui, di per se, ma perfetti ingranaggi dell'elefantiasi totalitaria. La felicità viene cercata nel consumismo sfrenato, nella ricerca dell'eterna giovinezza scolpita dal bisturi, anche quando ci si ritrova ad essere come strane mummie avvolte in fasciature.
Contro l'indifferenza e la follia collettiva resta a lottare una sparuta minoranza di ribelli: dei terroristi bombaroli che cercano di minare il sistema attraverso il sabotaggio. Il loro capo è l'inafferrabile Harry Tuttle (uno spassoso cameo di Robert De Niro), un idraulico sovversivo il cui scopo rivoluzionario è quello di riparare le condutture destinate alla distruzione dalla filosofia consumistica dell'ending is better than mending. Ma questi non è il protagonista della nostra vicenda.

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venerdì 26 maggio 2006

Recensione IL SORPASSO

Recensione il sorpasso




Regia di Dino Risi con Vittorio Gassman, Catherine Spaak, Jean-Louis Trintignant, Claudio Gora, Luciana Angiolillo, Linda Sini, Franca Polesello, Lilly Darelli, Mila Stanic

Recensione a cura di Antonio Cocco

Da dieci anni a questa parte, "Il Sorpasso" di Dino Risi è considerato il capolavoro della commedia all'italiana, l'affresco più riuscito dell'Italia del boom economico con tutte le sue contraddizioni.

Dalla sua uscita fino a poco tempo fa, la critica non era stata troppo benevola con questa pellicola, considerandola l'ennesima commedia di costume interessata più che altro a riunire "macchiette", in un periodo ricco di mostri sacri che da soli reggevano la scena (da Mastroianni a Tognazzi a Totò fino allo stesso Gassman) ma, a distanza di quarant'anni, quasi a riparare l'errore commesso, è arrivato il riconoscimento della mostra di Venezia, che ha onorato Dino Risi con il Leone d'Oro alla carriera.
In precedenza, pochi critici intuirono che Risi aveva preso le distanze dai canoni delle classiche commedie, analizzando con una minuzia davvero encomiabile gli anni '60, l'epopea del miracolo economico, e regalandoci due personaggi studiatissimi, incredibilmente intensi come il gradasso romano, Bruno Cortona, e il timido e impacciato studente universitario, Roberto Mariani.
Dopo il riconoscimento, l'opera sta vivendo una seconda vita: viene diffusa (mentre prima era semisconosciuta), viene studiata e apprezzata da tutti gli appassionati cinofili e anche da quei rappresentanti del cinema colto che solitamente trascurano la cultura popolare delle commedie di costume.
La vicenda dei due amici che viaggiando in auto vivono avventure avvincenti e alla fine traggono un insegnamento, una lezione di vita che li eleva e cambia la loro esistenza ricalca molti dei road movie americani; ciò che sorprende è la forza e l'originalità della sceneggiatura, scritta di concerto da Dino Risi, Ettore Scola e Ruggero Maccario, l'ottima fotografia e la vitalità dei dialoghi tra i due strepitosi protagonisti, Gassman e Trintignant (in una delle loro migliori interpretazioni di sempre), che si muovono nell'Italia delle scampagnate, delle auto sportive e delle minigonne.

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giovedì 25 maggio 2006

Recensione A MIA MADRE PIACCIONO LE DONNE

Recensione a mia madre piacciono le donne




Regia di Inés París, Daniela Fejerman con Leonor Watling, Rosa Ma Sardà, Marìa Pujalte, Silvia Abascal, Eliska Sirova, Chisco Amado, Alex Angulo, Aitor Mazo, Xabier Elorriaga

Recensione a cura di Luca.Prete

"A mia madre le piacciono le donne" è una divertente e briosa commedia, nella quale non manca qualche spunto di riflessione.
Una celebre concertista di nome Rosa, nell'occasione del suo sessantesimo compleanno, annuncia alle tre figlie adulte di aver scoperto di essere innamorata di una donna molto più giovane di lei: una ragazza di Praga, Eliska, in Spagna per motivi di studio. Le figlie decidono di intervenire e mandare a monte la relazione chiedendo ad Elvira, la più giovane e nevrotica (dalla grande difficoltà di relazionarsi con gli uomini, incapace di avere autostima) delle tre figlie, di sedurre Eliska.
Gli imprevisti si moltiplicheranno, soprattutto quando Elvira s'infatuerà davvero dell'amante della madre, mettendo in crisi il legame tra di loro. Eliska, piena di sensi di colpa, scappa a Praga, mentre la madre di Elvira entra in uno stato depressivo profondo e invalidante. Le tre sorelle, pienamente pentite, partiranno per la Repubblica Ceca per "recuperare" la giovane, ancora innamorata di Rosa, e a convincerla a ritornare in Spagna. Le figlie di Rosa, finalmente, capiscono quanto il sentimento della madre nei confronti di Eliska sia sincero, accettandolo e non avendone più paura.

"A mi madre le gustan las mujeres" ha molto di Almodovar: l'investigazione dei rapporti tra le persone soprattutto dal punto dio vista sessuale, lesbo, in questo caso, la nevrosi e i complessi, le paure, che proprio questo tema può originare, l'imbarazzo e il disagio di avere in famiglia una persona non etero e la difficoltà di omologarsi alle convenzioni della società.
Il film presenta molte situazioni comiche e divertenti, soprattutto, durante le sedute di Elvira con un psicologo poco attento ai problemi della ragazza e più propenso, invece, ad ammirare la sua fisicità, o ancora nella scena in cui Elvira prova ad avere un rapporto sessuale con il suo ragazzo, impossibilitata, però, oltre che da una psicastenia omofoba, anche dalla estrema difficoltà di togliersi i vestiti, o invece quando una delle tre sorelle, cantante rock ed anticonformista, attraverso una canzone orecchiabile e allegra, rivela ad una gran massa di persone, che a sua madre piacciono le donne (il titolo del film).

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mercoledì 24 maggio 2006

Recensione IL CODICE DA VINCI

Recensione il codice da vinci




Regia di Ron Howard con Tom Hanks, Jean Reno, Audrey Tautou, Alfred Molina, Ian McKellen

Recensione a cura di Simone Bracci

Diventa estremamente difficile porsi di fronte ad un film tratto da un romanzo che ha dissotterrato dal polverone storico profonde ideologie ataviche, qual è stato il caso de Il Codice da Vinci.
Prima del lancio internazionale, prima della sua maestosa campagna di marketing, prima della sua proiezione alla Croisette, prima delle azioni rurali chiamate banalmente "crociate" anti Codice da parte della stampa, prima di tutto questo c'è un complesso adattamento cinematografico.
Di fronte all'opera di Dan Brown si sono posti il regista (già premio Oscar) Ron Howard e lo sceneggiatore Akiva Goldsman che ne hanno tirato fuori un lungometraggio di due ore e mezza. Attenendosi prettamente al lato filmico, per chi dunque ha letto il libro (e per chi lo ha apprezzato per quello che è), si nota immediatamente come l'eccessiva pressione mediatica e l'ingiustificata campagna screditatoria da parte della Chiesa (tornata impaurita ad affrontare i demoni del modernismo) abbiano raggiunto lo scopo. Ossia, quello di limitare una divulgata libertà d'espressione, mettendo il guinzaglio alla trasmutazione espressiva e simbolica dell'intera opera. Per non incedere troppo nel provocatorio, dunque, gli autori hanno deliberatamente frenato una legittima forma d'arte, dando un colpo al cerchio e uno alla botte.

Partiamo dalle interpretazioni dei personaggi coinvolti, in un cast che ha fatto dell'internazionalità la sua arma a doppio taglio. Su tutti, come ormai spesso accade nei ruoli da antagonista, la palma del migliore spetta al monaco-killer Silas, un Paul Bettany che forse è l'unico che da credito al proprio personaggio, seguito a ruota dal sempre eccellente Sir Ian McKellen. Il resto sono marionette che si muovono al servizio ludico dello spettatore, da un Tom Hanks che si aggira spaesato e poco convinto nei panni dell'impavido Robert Langdon, passando per i superflui Reno (Bezu Fache) e Molina (Aringarosa), fino ad arrivare ad Audrey Tatou, spettrale presenza della crittologa francese Sophie Neveu. Discutibile anche la scelta del doppiaggio "a metà", che ha previsto di lasciare in lingua originale molte delle battute presenti nel film, compreso l'italofrancese interpretato da Anne-Marie Sanchez.

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Recensione DEAD OR ALIVE

Recensione dead or alive




Regia di Takashi Miike con Riki Takeuchi, Sho Aikawa, Renji Ishibashi, Hitoshi Ozawa

Recensione a cura di cash (voto: 9,0)

"I generi sono per i distributori e per gli spettatori. Penso non abbiano nulla a che fare con chi realizza il film".

All'inizio si ha la sensazione di assistere a qualcosa di nuovo. Poi, il tutto raggiunge un precario equilibrio che si sfalda nuovamente alla fine. "Dead or Alive" è questo; un film "imploso", un lungo discorso fra parentesi reso quasi aleatorio proprio a causa di quelle pesanti e indimenticabili parentesi: i primi 5 minuti e gli ultimi 5 minuti. E' grazie a codesto film che Tom Mess partorì la bibbia miikiana "Agitator: the cinema of Takashi Miike", fino a poco tempo fa unico saggio dedicato all'imprendibile Miike.
Saggio nato proprio dall'incredulità e sgomento di Mess dinnanzi alle due ingombranti parentesi di "Dead or Alive", le quali non possono certo lasciare indifferenti. Queste saranno discusse in seguito; ma la sfida è riuscire a parlare di "Dead or Alive" occupandosi anche del contenuto delle parentesi, ovvero il film in se. Cosa non facile. Proviamo.

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martedì 23 maggio 2006

Recensione STAR WARS EPISODIO I - LA MINACCIA FANTASMA

Recensione star wars episodio i - la minaccia fantasma




Regia di George Lucas con Liam Neeson, Ewan McGregor, Natalie Portman, Jake Lloyd, Sofia Coppola, Samuel L. Jackson, Keira Knightley, Terence Stamp, Pernilla August

Recensione a cura di antoniuccio

Con "La minaccia fantasma", George Lucas inizia la realizzazione del suo sogno di dare completezza alla saga di "Star Wars" e, per una trilogia "prequel" che fosse da premessa alla inimitabile trilogia arcinota, propone un episodio che per molti aspetti ricalca la struttura del IV, cioè quello noto semplicemente come "Guerre stellari".

In un certo senso, le due trilogie presentano aspetti comuni: mentre i primi episodi si manifestano più "autonomi", gli intermedi fungono da raccordo a quelli "conclusivi".
Abbiamo infatti il giovane Jedi Obi Wan Kenobi e il suo maestro Qui Gonn Jinn, abbiamo un personaggio femminile che copre un ruolo istituzionale che maschera un'amazzone coraggiosa e risoluta (la Regina Amidala), troviamo i "cattivi" (la federazione del commercio) che proprio furbi non sono, sempre manovrati dal personaggio oscuro che non rivela la sua identità. Infine troviamo anche qui i due impagabili droidi.
Il gruppo dei personaggi collima quasi perfettamente con quelli del 1977, ma qui abbiamo una "novità": Anakin Skywalker. Ma Anakin non è nuovo!
È che qui lo troviamo nelle fattezze di un bambino attira-baci-e-carezze che nasconde un segreto del quale è inconsapevole. Il bambino è una "vergenza", ovvero il coagulo dei minuscoli elementi che compongono la "Forza" e che ha trovato albergo ideale nel ventre della madre.
Una specie di Messia? Anakin non è un Messia, ma è colui che porterà equilibrio nella Forza e dunque nell'intero universo. Non è un Messia poiché in lui prevalgono elementi di umanità comunissimi: costretto dagli eventi a lasciare la madre in schiavitù, il suo pensiero è costantemente rivolto a lei e alla sua possibile liberazione e questo gli procura ansia, paura, ira, odio, sofferenza. Elementi che rischiano di condurlo al "lato oscuro" della Forza. Per questo il ragazzo rappresenta un potenziale pericolo.

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lunedì 22 maggio 2006

Recensione VOLVER

Recensione volver




Regia di Pedro Almodovar con Penelope Cruz, Lola Dueñas, Blanca Portillo, Carmen Maura, Yohana Cobo, Chus Lampreave, Leandro Rivera

Recensione a cura di Pasionaria (voto: 8,0)

Dopo due anni dal suo annuncio, finalmente torna a meravigliarci un grande Almodòvar, che con "Volver", il suo sedicesimo lungometraggio, ci regala una storia sorprendente per l'originalità e la sensibilità con cui è narrata. Pedro abbandona il noir duro della Mala educacion per tornare alla commedia drammatica (ossimoro tutto almodòvariano); lascia il mondo maschile dei suoi ultimi due film per riabbracciare l'universo femminile dei primi; tralascia il tono cupo e cinico per riproporre la narrazione vivace e allegra di un tempo, arricchita da profonde pennellate struggentemente malinconiche, tratteggianti una realtà mai scevra da stoccate tipiche dello stile grottesco e surreale che gli è proprio.

E' ormai una conferma: nessuno sa raccontare le donne come Almodòvar, e non si dica che tanta sensibilità deriva dal suo essere omosessuale. Luogo comune fra I più odiosi. Semplicemente Pedro ha lo straordinario talento di cogliere dell'anima femminile ciò che è invisibile ai più, di raccontare con incredibile intensità ciò che a volte pare estraneo persino alle donne stesse, di meravigliare con le sue profonde intuizioni relative ad un universo così complesso: il regista celebra la donna, la comprende, la ama sinceramente.

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Recensione THE LIFE OF DAVID GALE

Recensione the life of david gale




Regia di Alan Parker con Kevin Spacey, Kate Winslet, Laura Linney

Recensione a cura di fromlucca

Non lasciatevi fuorviare dall'etichetta "thriller" che il film ha.
La sceneggiatura, che prima di essere scoperta da Alan Parker rimase per anni a prendere polvere negli scaffali degli studios hollywodiani, l'ha scritta un professore di filosofia di Vienna, alla sua prima esperienza nel campo del cinema.
Per questo il film ha spesso dialoghi con rimandi alla filosofia, con lo stesso protagonista David Gale che ne è stimato professore in materia.
La storia ce lo presenta dalle brillanti lezioni all'università (riprese veramente tra veri studenti di un un'università texana), alla sua decadenza totale, fino a finire nel braccio della morte accusato di omicidio e stupro di una sua collega.

Interessante il metodo narrativo. Il film inizia con una salto temporale legato alla fine della vicenda, per tornare indietro di alcuni giorni in una redazione di un giornale, e inserire a sua vota dei flash-back a 6 anni prima.
Originale l'attivazione di questi lunghi flashback, non con la solita dissolvenza ma con un montaggio che fa girare la macchina da presa su se stessa, e l'inserimento di parole subliminali in montaggio.Il nostro punto di vista da spettatori è quello della giornalista protagonista (crederemo all'innocenza o colpevolezza del professore Gale, di pari passo a Kate Winslet), ma nel finale anche di un narratore onniscente/super partes, che ci trasporta in luoghi dove la giornalista non potrà essere.
Il regista da quindi più informazioni narrative allo spettatore che alla protagonista del film, sopra tutto per innescare un dibattito e far riflettere. Direi che ci riesce egregiamente.

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venerdì 19 maggio 2006

Recensione ICHI THE KILLER

Recensione ichi the killer




Regia di Takashi Miike con Tadanobu Asano, Nao Omori, Shinya Tsukamoto, Paulyn Sun, Susumu Terajima, Shun Sugata

Recensione a cura di cash (voto: 9,0)

Hideo Yamamoto, bravo ragazzo. Un mangaka (ma non solo) che ha scritto e disegnato Koroshiya Ichi, grazie al quale è riuscito a farsi censurare perfino in Giappone. Pare infatti che il suo manga fosse stato giudicato leggermente violento.
Poteva un personaggio come Miike Takashi ignorare tale fenomeno? No, non poteva. E infatti nel 2001 concepisce in una manciata di mesi (lui di solito gira sei film all'anno, e tutti di una qualità che va dall'ottimo all'eccellente) "Ichi the killer": film che un eufemista definirebbe "eccessivo e violento".
Una cosa va chiarita: pare riduttivo appellare un autore che ha all'attivo 75 pellicole semplicemente come "regista". E son 75 al momento dell'estensione di tale articolo, con l'assoluta certezza che quando leggerete queste poche righe saranno come minimo 80.

Miike non è un regista, bensì una multinazionale di se stesso; la sua ditta produce vari articoli dai più disparati generi, e quando siete abbastanza sicuri di averlo classificato in una comoda etichetta manualistica ecco che subito sarà pronto a smentirvi.
Esiste un punto di contatto ideologico fra "Ichi", "Visitor q" e "Audition"? No. Perlomeno apparentemente; a ben vedere, sono storie d'amore tra le più pure che si siano mai viste, ma esattamente agli antipodi di un "Autumn in New York" a casaccio.
L'amore concepito da Miike è totalmente spoglio da strette cuciture di genere che portano lontano dall'indagare ciò che muove il cuore di una persona amante. Lontano dalla logica della sicurezza della coppia, Miike non tesse furbi vestiti culturalmente devianti, concepiti ad hoc per occultare le parti che non si vorrebbero mettere in evidenza. Si potrebbe osservare che non cuce addosso ai suoi personaggi nessun vestito, l'uomo è spesso nudo sia materialmente che ideologicamente: tripudi e danze di spogli toraci. Quando la carne è sottile il cuore si mostra più facilmente.

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giovedì 18 maggio 2006

Recensione FREAKS

Recensione freaks




Regia di Tod Browning con Wallace Ford, Leila Hyams, Olga Baclanova, Roscoe Ates, Henry Victor, Harry Earles, Daisy Earles, Rose Dione, Daisy Hilton

Recensione a cura di Jellybelly (voto: 10,0)

La storia è estremamente lineare: un gruppo di "Freaks", uomini e donne affetti dalle più incredibili malformazioni, sono la principale attrazione di un circo. Uno di loro, il nano Hans, diviene preda delle avide mire della bellissima acrobata Cleopatra, che lo convince a sposarla con l'intenzione di ucciderlo e di appropriarsi delle sue fortune, per poi dividerle con l'amante Ercole. Scoperto l'imbroglio, la vendetta di Hans e dei suoi amici sarà terribile.

Partendo da questi presupposti, Browning dà vita ad un film assolutamente inquietante nel suo incedere inesorabilmente diretto verso la tragedia, che vede per protagonisti autentici Freaks: nani, uomini-torso, donne barbute, uomini-scheletro, ermafroditi, gemelle siamesi. Browning li osserva con sguardo gelido, freddo, quasi documentaristico, mostrandone la quotidianità piuttosto che i risvolti ridicoli, macchiettistici o grotteschi: il circo resta infatti solo sullo sfondo, ed i protagonisti non sono mai mostrati in scena. Il quadro così dipinto diventa quindi un acquerello sulla diversità e sulla sua relatività.

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mercoledì 17 maggio 2006

Recensione THE HOLE

Recensione the hole




Regia di Nick Hamm con Thora Birch, Desmond Harrington, Daniel Brocklebank, Laurence Fox, Keira Knightley

Recensione a cura di Matteo Sonego

Quattro studenti di un prestigioso college inglese, due ragazzi e due ragazze, decidono di farsi rinchiudere da un compagno di scuola all'interno di un bunker in disuso dalla seconda guerra mondiale. Lo scopo della reclusione, oltre a quello di evitare una noiosa gita scolastica, è quello di trascorrere tre giorni di puro divertimento all'insegna di sesso, droga e alcool. Il week-end alternativo si trasforma in tragedia nel momento in cui i quattro si accorgono di essere bloccati senza via d'uscita all'interno del nascondiglio.

Il film, che trae spunto dal romanzo di Guy Burt "After the hole", viene presentato dal trailer come ricco di suspense e colpi di scena. "The hole" si rivela in verità un thriller piuttosto leggero, che più che stupire con scene forti, si rende interessante nello svelare pian piano i dettagli di un'originale, anche se improbabile, trama.
La vicenda, che fino all'ultima scena rimane poco chiara, viene narrata principalmente mediante i ricordi dell'unica sopravvissuta alla reclusione, cioè Liz (Thora Birch). La protagonista, che assieme al compagno di studi Martin (Daniel Brocklebank) aveva progettato il piano, viene aiutata da una psicologa per cercare di ricordare cosa in realtà sia successo all'interno del bunker, e come gli altri tre ragazzi siano potuti morire. La versione dei fatti fornita da Liz, è però completamente sballata, a causa forse della repulsione psicologica che la ragazza ha nell'ammettere l'effettiva morte dei compagni. A confondere ulteriormente lo spettatore c'è anche la testimonianza fornita da Martin, che nel mentre viene indagato dalla polizia in quanto responsabile della reclusione dei ragazzi all'interno del "buco".

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