Recensione train de vie - un treno per vivere
Recensione a cura di Pasionaria (voto: 9,0)
C'era una volta... il film inizia come una fiaba e scorre leggero sui binari della commedia.
Scelta azzardata, quantomeno singolare, quella di scrivere una sorta di farsa sull'Olocausto, ma il risultato è sorprendente.
"Ridere è un altro modo di piangere" dice il regista, Radu Mihaileanu, la cui famiglia fu internata in un lager. Un dolore atavico il suo, un dolore che viene qua trasfigurato nella risata, ma non per questo sminuito. Nella vita è costante la compresenza di comico e tragico e l'invito pascoliano a cercare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima come due elementi inseparabili è poeticamente vero. Così il regista sceglie di raccontarci in altra forma la tragedia del suo popolo, in modo surreale e ironico, quasi a volerne dissacrare l'orrore. Lo fa ispirandosi all'universo onirico del concittadino Ionesco, al suo teatro dell'assurdo, i cui rimandi la critica ha intravisto, unanime, nel racconto di Mihaileanu, così come ha colto l'evidente richiamo al regista Ernest Lubitsch (ebreo dell'Est come lui) e al suo film "Vogliamo vivere", che nel '42 affrontava per primo in forma di commedia la tematica antinazista, irridendo la tragedia della Shoah.
Egli fu quindi il precursore di un'idea poco ortodossa ma di successo, seguita da altri artisti tra cui il nostro Benigni che, nello stesso anno d'uscita di "Train de vie" (1998), concepisce e dà vita ad un'altra commedia sullo stesso tema, "La vita è bella". Il lungometraggio italiano ebbe una distribuzione capillare e grazie alle operazioni di marketing per il suo lancio, ottenne maggiore popolarità, amplificata dalla vittoria dell'Oscar. "Train de vie" fu forse in parte oscurato dal film di Benigni, conquistò tuttavia il pieno consenso della critica e del pubblico e vinse il David di Donatello come miglior film straniero.
Tra le due opere esistono marcate differenze, denominatore comune lo stile narrativo "favolesco", ma risalta subito nel gioiello cinematografico di Mihaileanu, l'ironia grottesca e delicata insieme sui vizi e sulle virtù ebraici, tipica dell'umorismo Yiddish, sempre un po' malinconico e rassegnato, certamente privo dell'enfasi buonista del film di Benigni.
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