Recensione gente comune
Recensione a cura di peucezia
Film del 1980 ed esordio alla regia di Robert Redford, all'epoca ancora uno dei "belli" di Hollywood sempre in bilico tra impegno non dichiarato e aspetto tipicamente WASP, "Gente comune" ha fatto incetta di Oscar (ben quattro) pur avendo avversari agguerriti e di chiara fama come il Martin Scorsese di "Toro scatenato".
Senz'altro il brillante risultato è dato dagli interpreti sempre misurati e all'altezza delle aspettative: Mary Tyler Moore, reduce da anni di un serial comico intitolato a suo nome, Donald Sutherland, non più dongiovanni perverso (vedasi il "Casanova" di Fellini) ma in questa pellicola padre affettuoso e comprensivo, Judd Hirsch, volto inconfondibile, protagonista di diverse fictions targate USA e due allora giovanissimi attori: Timothy Hutton, miglior attore non protagonista, sicuramente una rivelazione e senza dubbio l'autentico vero protagonista dell'intreccio, noto all'epoca semplicemente per essere figlio di Jim, il popolare "Ellery Queen" televisivo e Elizabeth Mc Govern, qualche anno dopo protagonista di "C'era una volta in America".
Perché "Gente comune"? Perché tutto è imperniato sulle vicende di una apparentemente tranquilla ed ordinaria famiglia medio borghese americana: madre sempre in ordine, casa bellissima, padre bello, figlio bello. Ma dietro questa perfezione e questa ordinarietà, si nascondono i piccoli drammi incurabili. Difficoltà di relazionarsi, di vincere una tragedia familiare (la morte del primogenito, trauma destinato a segnare profondamente qualsiasi genitore). La madre è fredda, vittima al contrario del complesso edipico, sembra aver esaurito qualsiasi forma di sentimento. Al contrario il padre è l'animo più sensibile e femmineo, sempre pronto a comprendere e capire gli altrui problemi. Ma il fulcro della storia è costituito dal flusso di coscienza del giovane Conrad, ragazzo profondamente marcato dalla scomparsa del fratello.
Il film è in effetti una ascesa, una liberazione dall'abisso infernale della depressione e al contempo un bildungsroman, giocato sia sulla crescita spirituale e mentale del giovane protagonista sia sulla ricostruzione di un lacerato rapporto con il mondo adulto e genitoriale in particolare. I dialoghi e le scene del film sono creati ad hoc per accompagnare lo spettatore nella rinascita di Conrad, ma, ed è questo il limite forte del film, risultano essere troppo bene confezionati per riuscire ad essere davvero autentici.
Ecco così che la storia, pur riuscendo interessante e a tratti persino accattivante, ha dei frequenti momenti di stasi, proprio perché troppo "prefabbricata".
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