venerdì 5 giugno 2009

Recensione DRAG ME TO HELL

Recensione drag me to hell




Regia di Sam Raimi con Alison Lohman, Justin Long, David Paymer, Reggie Lee, Lorna Raver, Dileep Rao, Sage Stallone, Joanne Baron, Jessica Lucas, Alex Veadov, Bojana Novakovic, Fernanda Romero, Bonnie Aarons, Alexi Wasser, Tom Carey, Jennifer C. Sparks, Bill E. Rogers

Recensione a cura di lotnick (voto: 6,0)

In quel di Los Angeles, Christine Brown spera di ottenere una promozione presso la banca in cui lavora. Il suo capo sembra però preferirle Stu, un collega meno talentuoso ma più inflessibile con i clienti che si presentano a richiedere prestiti o a negoziare mutui. La donna, determinata a mostrarsi all'altezza, rifiuta una dilazione del mutuo all'anziana signora Ganush, nonostante quest'ultima la supplichi in ginocchio di non farle perdere la casa. Al suo rifiuto, la vecchia le indirizza una potente maledizione, e Christine avrà solo tre giorni di tempo per sottrarsi alla Lamia, un demone che la perseguiterà senza posa per sprofondarla nelle fiamme dell'inferno.

Prodotto dalla Ghost House di Sam Raimi, che in questi anni ha sfornato opere ben poco memorabili tranne, forse, "30 giorni di buio", e diretto dallo stesso regista statunitense, "Drag Me to Hell" è un divertito ritorno alle origini nonché una corroborante vacanza dalle produzioni a grosso budget alla Spiderman. Dalla trilogia di "The Evil Dead", Raimi mutua il medesimo, irresistibile mix di horror e commedia slapstick, mentre la logica è quella dei fumetti della EC Comics e di testate come "Tales from the Crypt" o "Vault of Horror", contro cui si accanivano i censori americani negli anni '50. Come prevedibile, non mancano omaggi e citazioni per insaporire il sulfureo calderone: Raimi tira in ballo nientemeno che Jacques Tourneur e il suo classico "La Notte del Demonio" (tratto da M.R.James), mentre il fratello Ivan, autore della sceneggiatura, innerva la trama di suggestioni kinghiane ("L'Occhio del Male"), anche se l'ilare cavalcata in odore di autocompiacimento nasconde un apologo sull'avidità che ha il sapore acre di alcuni nerissimi racconti del "cinico" Ambrose Bierce.

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