Recensione slipstream - nella mente oscura di h.
Recensione a cura di Anna Maria Pelella
Viaggio nella mente e negli script di Felix Bonhoeffer, sceneggiatore al lavoro con problemi a distinguere la realtà dalle sue creazioni.
Facciamo così la conoscenza di Bette Lusting, vecchia signora che apre e chiude il film con la stessa frase, di cui capiremo il senso solo alla fine. Nel mentre incontreremo Ray, uno psicopatico, ma forse anche un attore, o magari un poliziotto e anche il più travolgente dei produttori: uno sfavillante John Turturro. Poi ancora la tenera Gina, la dolce Shelly, e persino un'investigatore che abita il computer dello sceneggiatore, il quale nel frattempo si addormenta...
Il cinema autoreferenziale non è mai passato di moda; rifugio di geni incompresi e di millantatori professionisti, ha sempre offerto la possibilità di raccontare anche senza un copione, e magari senza neanche un'idea. Le immagini fotografate con cura e il montaggio frenetico e a tratti confuso sono spesso indice di una certa volontà di saturare gli occhi prima ancora che il cervello dello spettatore, sperando che questi, abbagliato dalle luci, non si chieda dove lo si sta portando. Se poi si aggiungono un paio di citazioni dai classici, e qualche riferimento colto il gioco è fatto. Peccato che non basti la buona volontà e qualche trucchetto per creare dal nulla un Lynch. Qua siamo piuttosto dalle parti di un Tony Scott assai pretenzioso.
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