Recensione soffio
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Recensione a cura di Anna Maria Pelella
Yeon è una donna triste e frustrata dai continui tradimenti del marito. Dopo un duro confronto con l'uomo, sente parlare di un condannato a morte che ha tentato il suicidio e spacciandosi per una sua ex, va a trovarlo in carcere. Lì incontra l'uomo che a causa di una ferita alla gola non può parlare, ma che è dispostissimo ad ascoltarla e a mano a mano la situazione si stratifica, fino a che il marito di lei si accorge dell'accaduto e tenta un recupero.
Kim Ki-duk è un regista particolarissimo, questo si sa già; quello che non tutti sanno però è che le sue cose migliori continuano ad essere quelle precedenti alla fama internazionale. Probabilmente la progressiva semplificazione dei contenuti, come anche lo stile di regia a mano a mano più rarefatto, hanno sia causato la sua fama che allontanato il regista dalla unicità per cui i suoi primi film erano stati apprezzati. Si trattava di pellicole che non dovevano nulla alla moda, di opere che non avevano nessuna paura di rappresentare silenzi lunghissimi e situazioni terribili, con originalità e nessun desiderio di compiacere il pubblico rispetto alle ultime opere, che se anche perfette dal punto di vista stilistico, nulla aggiungono alla diluita rappresentazione di temi cari all'autore. Detto questo e volendo evitare il giochetto di elencare la provenienza di ciascun particolare di questo nuovo film, non ci resta che esplorarne la rappresentazione accantonando momentaneamente le fonti e dimenticando il piacere che ci aveva dato la semplice visione di film come "Primavera Estate, Autunno, Inverno... e ancora Primavera" e "Real Fiction", per tacere del famosissimo "Ferro 3" e del meno famoso ma assai particolare "Bad Guy".
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