Recensione vinyan
Recensione a cura di Anna Maria Pelella
Janet e Paul hanno perduto il loro figlioletto durante lo Tsunami. Una sera Janet crede di vederlo in un video ripreso in Birmania da un'associazione umanitaria. Decide così di partire alla ricerca del bambino, affidandosi ad un trafficante locale, Thaksin Gao. Ma giunti sul luogo i due si troveranno davanti alla dura realtà di un mondo assai più selvaggio di quanto avessero immaginato, e le loro speranze si trasformeranno nell'arma più potente da cui finiranno per essere feriti.
"Vinyan", ovvero il fantasma del corpo della madre. Fabrice du Welz apre questo delirio visionario molto astutamente con l'immagine della bellissima Emanuelle Bèart. E su questo volto devastato dal dolore che a mano a mano si trasforma in follia, lo spettatore può agilmente seguire le tracce dell'antico mito della Grande Madre. Paul segue Janet come un bambino attraverso la giungla senza avere mai la forza di opporsi, le si affida e finisce fagocitato. I bambini del villaggio si concedono un uccisione rituale e un pasto totemico, per poi celebrare alla fine il corpo della madre per eccellenza, Janet che, annullata dal dolore della perdita si trasfigura in archetipo, la Grande Madre, appunto.
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