Recensione au hasard balthazar
Recensione a cura di Ciumi (voto: 9,5)
Spesso nell'opera di vari autori, parallelamente alla ricerca stilistica e professionale, s'è accompagnata nondimeno quella esistenziale e mistica. Anzi si può dire che tali corrispondenti riflessioni, ne abbiano delineato insieme i diversi percorsi artistici, e che alla curva dell'una sia seguita quella dell'altra, conseguentemente.
A tale proposito, l'intera opera di Bresson appare oggi un'immensa preghiera, raccolta e recitata dentro una stanza spoglia, senza nulla alle pareti. Appare, il cinema di Bresson, una sorta di pellegrinaggio solitario, silenzioso, un cammino penitente, a piedi nudi sopra un sentiero sassoso, irto, che attraversa paesaggi brulli, roveti, erte, greti, campagne desolate, e che trova momenti di grande sconforto ma anche, e specie all'inizio, brevi radure illuminate dalla fede.
Le vicissitudini dei suoi personaggi (sempre la vicenda è individuale) divengono così le varie strofe di questa preghiera; o le tappe, misurate, di tale cammino. Le loro storie non si concludono definitivamente al termine d'ogni pellicola; ma s'evolvono spiritualmente; rivivono in quella successiva portando ad essa tutto il carico d'esperienza acquisito; rendendola, già in principio, vissuta e consapevole.
Così nello sguardo mesto di Balthazar rivivono, contemporaneamente, le anime di coloro che lo hanno preceduto: la conversa, il curato, il condannato, il ladro. Porterà a sua volta, assieme alle altre, la propria in quella di "Mouchette".
Il settimo lungometraggio di Bresson s'apre con un leggero scampanellio, che ne introduce già magnificamente l'ambientazione campagnola, lo spirito compassato, e ne presenta un primo simbolo terreno di purezza: un gregge mentre sta pascolando. In mezzo ad esso, un asinello, nato da poco, mentre ancora s'allatta dalla madre.
La bestiola viene adottata da una ragazzina, Marie, che decide di prendersene cura. L'asinello è battezzato col nome di Balthazar.
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