Recensione woyzeck
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Recensione a cura di Gilles
Woyzeck è il reietto, il respinto per eccellenza. Herzog crea un'opera che rasenta l'entomologia dell'umano, e il suo personaggio di Woyzeck, interpretato da Klaus Kinski e ripreso da una piéce incompiuta di Georg Buchner, rappresenta la forma più vivisezionata, più dissestata e manipolata tra le tante figure dei reietti che abitano usualmente il cinema herzoghiano: Kaspar, Stroszek, Nosferatu, i nani.
Soldato semplice in un mite paesello della Mitteleuropa, Woyzeck conduce un'esistenza scandita dai maltrattamenti continui che gli rivolgono tutti i personaggi secondari: le angherie del suo superiore, le richieste della sua donna, gli esperimenti che un dottore effettua su di lui, gli insulti del tamburmaggiore.
La sua è un'esistenza sbattuta, sempre agitata e tormentata: Kinski si muove sempre, come in preda ad una fretta inestinguibile, corre di qua e di là, da una mansione ad un'altra, da un turbamento ad un altro, è sempre in mezzo a due termini. Ma i suoi turbamenti non provengono solo dalle urgenze dell'altro, bensì anche dalla presenza di qualcosa di misterioso che ossessiona Woyzeck presentandosi occasionalmente a lui come Visione, come voce angosciante, come entità che parla solo a lui.
La sua salvezza e la sua perdizione dipenderanno entrambe da questa voce, che orienterà il suo destino e, in un certo senso, lo riconcilierà con un mondo perduto.
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