mercoledì 18 novembre 2009

Recensione UN ALIBI PERFETTO

Recensione un alibi perfetto




Regia di Peter Hyams con Michael Douglas, Amber Tamblyn, Jesse Metcalfe, Joel Moore, Randal Reeder, David Jensen, Megan Brown, James B. McDaniel, David Born, Krystal Mayo, Michael Byrnes, Edrick Browne, Mysti Nash, Kip Cummings, Grant James, Bill Stinchcomb, Ryan Glorioso, Brent

Recensione a cura di pompiere (voto: 6,0)

C.J. Nicholas (Jesse Metcalfe) è un reporter televisivo che lavora per le "grandi inchieste" del Canale 8.
I suoi preziosi servizi riferiscono sulla scelta della più opportuna miscela di caffè o sulle fantastiche mostre canine della zona. Il peggio è che, durante le riprese, deve sempre avere il sorriso stampato in faccia.
E' fin troppo evidente che è un'attività troppo angusta per un giovane ambizioso come lui. Il suo sogno non è quello di prestare servizi per la rete televisiva della Louisiana (che, attualmente, è lo Stato che offre i maggiori benefici fiscali per le produzioni che decidono di girare in loco e nel film c'è anche un riferimento diretto all'uragano Katrina, n.d.a.).
Appena può, il giovane cronista va di corsa a vedere le arringhe del diligente e autoritario procuratore distrettuale Mark Hunter (Michael Douglas): c'è qualcosa che lo affascina, e che lo turba al tempo stesso, nei modi coi quali il legale procede nel suo lavoro, svolto tramite lo sfoggio di una bravura dialettica notevole e l'esibizione di prove incontrovertibili. Forse troppo innegabili.
In C.J. si insinua il forte dubbio che Hunter sia corrotto ed essendo annoiato e in cerca dello scoop della vita comincia a indagare...

Scritta, diretta e degnamente fotografata da Peter Hyams, il quale ritorna a lavorare con Douglas dopo il lontano "Condannato a morte per mancanza di indizi" del 1983, la pellicola scava tra la corruzione nella giustizia, nei dipartimenti di polizia e tra le righe delle colonne giornalistiche, prendendo spunto dall'originale "Beyond a reasonable doubt" di Fritz Lang (uscito nel nostro paese con il titolo "L'alibi era perfetto"), l'ultimo film girato in terra statunitense dal grande autore viennese nel 1956.
Il prototipo langhiano era una lievissima meditazione sul peccato, sul concetto di crimine e sulla parzialità della pena di morte, di matrice solenne, quasi minimalista.
Il rifacimento odierno riprende l'aspetto esteriore ma non il ragionamento complesso, mira di più all'intrattenimento, gettando sulla scena un numero maggiore di personaggi e moltiplicando gli accadimenti.

[...]

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