Recensione uomini di dio
Recensione a cura di Stefano Santoli (voto: 8,0)
"L'Algeria e l'islam: un corpo e un'anima".
"Nostro Padre, padre di entrambi".
Frère Christian de Chergé, priore del monastero di Tibhirine
"Uomini di Dio" mette in scena la vicenda, reale, di una piccola comunità di monaci trappisti, nell'Algeria lacerata dal colpo di stato e dalle bande armate negli anni '90.
Lo stile del film – assolutamente asciugato di ogni retorica - è austero e umile insieme. Parla un linguaggio pacato, semplice e senza orpelli. E' anche lontano da un rigore formale che avrebbe rischiato di sembrare estetizzante (in quest'opera che cerca la sostanza, e non soltanto la raffinatezza, non vi sono richiami a Bresson o Dreyer; né ci pare pertinente l'accostamento a un altro film di ambiente "monastico" quale "Il grande silenzio" di Philip Gröning del 2005). Rimane austero (e molto bello) perché privo pure di indulgenze e ammiccamenti verso il pubblico (che avrebbero potuto renderlo più appetibile, ma lo avrebbero banalizzato). La cadenza è lenta, contemplativa; lo sviluppo narrativo – che c'è – resta asciutto: però è più penetrante tanto più è sussurrato.
Ebbene, pur con siffatte caratteristiche, il film è stato capace di arrivare in testa al box office francese, e di attestarvisi per settimane. Meraviglia a parte, è un risultato che fa onore al pubblico d'oltralpe: che diremmo noi, se stessa sorte fosse toccata al bellissimo "L'uomo che verrà" di Giorgio Diritti (dal cui stile, e per molti versi anche dal cui spirito, "Uomini di Dio" non è lontano)?
Questo film di Xavier Beauvois è cinema coi fiocchi, e al Festival di Cannes del 2010 si è aggiudicato con merito il Gran Premio della Giuria.
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