Recensione nemico pubblico n.1 - l'istinto di morte (parte 1)
Recensione a cura di Mimmot
Raccontare in un film le imprese criminali di un bandito che ha tenuto in scacco una intera nazione può essere un progetto ambizioso e temerario; raccontarle in due capitoli separati può diventare addirittura pericoloso, perché si corre il rischio di elevare al rango di eroe un efferato fuorilegge, che ha segnato una pagina buia nella storia giudiziaria del proprio Paese e ha caratterizzato un'epoca, influendo negativamente sull'immaginario collettivo delle nuove generazioni e assurgendo a idolo e modello comportamentale del contropotere e della ribellione giovanile.
Se Jean François Richet dirigendo questo primo capitolo del film sulle gesta del famigerato bandito francese, Jacques Mesrine (il secondo capitolo, "Nemico Pubblico n° 1 - L'ora della fuga", uscirà ad aprile) non cade nell'errore è perché, nonostante non faccia mistero delle sue velate simpatie verso il criminale, incrocia le sue vicende personali e le sue peculiarità umane nelle sue più svariate sfaccettature con le vicende politiche della Francia dell'epoca, ed anche perché le racconta senza occultare gli aspetti più sanguinari e inaccettabili delle sue innumerevoli imprese: la violenza, la temerarietà, il fascino ipnotico che sapeva eserciate sugli altri, l'amoralità, l'avidità assoluta per il denaro, la volontà di sottrarsi al perbenismo della sua famiglia, l'efferatezza delle sue azioni, che ne fanno un modello da non imitare e da non portare ad esempio nel proprio stile di vita.
Rifacendosi al classico filone del noir poliziesco francese (una variante, non in tono minore, del poliziesco hollywoodiano), Richet, con questo "Nemico pubblico n° 1 - L'istinto di morte" realizza un neopolar che è la prima parte di un dittico che ha al centro la figura di uno dei più spietati criminali della storia e il più grande fuorilegge cui la Francia ha dato i natali e con cui ha dovuto fare i conti.
Entrambi i capitoli del film sono tratti dalle memorie autobiografiche ("L'instinct de mort") che Mesrine, forse per autocelebrarsi, scrisse durante uno dei suoi soggiorni nel carcere La Santé di Parigi prima della sua leggendaria e rocambolesca evasione, che ha soddisfatto il suo narcisismo e lo ha consegnato alla storia della cronaca nera.
Richet resta fedele allo spirito dello scritto, e anche se alcuni punti sono apertamente romanzati ne risulta il biopic di una vita spericolata e folle; talmente folle da sembrare surreale e di pura invenzione.
Una vita che, pur nel rispetto di un suo personalissimo codice d'onore, si muoveva tra malavita organizzata ed esercizio personale della violenza.
Un fenomeno mediatico e un eroe popolare, le cui vicende private assunsero una risonanza vastissima e ambigua, e in cui tanti giovani sbandati delle banlieues finirono per riconoscersi e immedesimarsi, in un crescendo emulativo che mise in grossa difficoltà la gendarmeria parigina.
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